Sabato 15 Novembre 2025 | 17:09

L’Europa alla prova della crisi idrica nel Mediterraneo

L’Europa alla prova della crisi idrica nel Mediterraneo

 
Antonio Bonatesta

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Antonio Bonatesta

Crisi idrica, la Regione Puglia: servono 1,3 miliardi per finanziare gli interventi

Al Sud, dove le perdite superano il 40% e le infrastrutture risalgono in larga parte al periodo compreso tra anni '20 e '70, le buone intenzioni di Bruxelles rischiano di scontrarsi con difficoltà vecchie e nuove

Sabato 15 Novembre 2025, 15:13

In Europa la scarsità idrica è ormai una realtà tangibile. Secondo i dati della European Environment Agency, nel 2022 circa il 34% della popolazione dell’Unione ha vissuto almeno una stagione con carenza d’acqua e il 40% del territorio è stato afflitto da stress idrico stagionale. Nella porzione meridionale del continente, in particolare in Grecia, Spagna e Portogallo, le condizioni di carenza idrica estrema hanno coinvolto punte del 70% della popolazione. Numeri che danno la misura dell’urgenza, ma anche del divario crescente tra Europa settentrionale e mediterranea.

È in questo contesto che la scorsa estate è stata promossa la nuova European Water Resilience Strategy (EWRS), la risposta con cui la Commissione europea intende affrontare la crisi idrica e costruire un’Europa «resiliente all’acqua». La strategia si fonda su tre obiettivi generali: proteggere e ripristinare il ciclo idrologico; sviluppare un’economia capace di valorizzare usi idrici sostenibili; garantire acqua e servizi igienico-sanitari sicuri e accessibili per tutti. Per perseguirli, l’Unione fa leva sia su strumenti normativi già esistenti - come la Water Framework Directive, la Drinking Water Directive e la Urban Waste-Water Treatment Directive - sia su nuove iniziative strategiche, che prevedono il miglioramento della capacità dei territori di trattenere, assorbire e riutilizzare l’acqua, l’uso crescente di soluzioni basate su principi di ordine naturale e la digitalizzazione dei sistemi di monitoraggio. Dal punto di vista finanziario, la strategia prevede il ricorso a investimenti pubblici e privati, con un impegno della Banca europea per gli investimenti (BEI) di circa 15 miliardi di euro nel triennio 2025-2027 per sostenere progetti idrici in tutta l’UE.

Eppure, dietro le dichiarazioni solenni, i limiti dell’Ewrs emergono con chiarezza, specialmente se letti dalla prospettiva del Mezzogiorno e del Mediterraneo. Il primo problema riguarda la natura non vincolante di molti obiettivi: la riduzione del consumo idrico, la tutela delle falde acquifere del sottosuolo, il miglioramento della qualità delle acque sono traguardi enunciati, ma privi di meccanismi obbligatori o sanzionatori. In un’Europa dove le stagioni di siccità si moltiplicano, la differenza tra un principio e un vincolo operativo è tutt’altro che formale. A questo si aggiunge un’incertezza finanziaria di fondo: pur evocando nuovi investimenti pubblici e privati, la strategia non prevede una dotazione dedicata né strumenti di riequilibrio per orientare i flussi dove la fragilità è maggiore. Così il rischio è che le risorse si concentrino nei Paesi e nei settori più competitivi, lasciando indietro le regioni periferiche.

Il documento europeo privilegia poi un approccio tecnologico e infrastrutturale – digitalizzazione, monitoraggio, «nature-based solutions» – ma dedica poca attenzione ai modelli di consumo e all’agricoltura irrigua intensiva, che nel Mezzogiorno resta uno dei nodi principali della crisi idrica.

Senza un ripensamento della domanda, il discorso sull’efficienza rischia di tradursi in un fuorviante diversivo. Il problema è amplificato da una governance frammentata: la strategia non chiarisce come coordinare i diversi livelli di intervento, dall’Unione agli Stati membri fino alle regioni e agli enti locali, né come sostenere i gestori delle reti idriche, spesso in difficoltà economica e tecnica.

Nel Mezzogiorno, dove le perdite superano il 40% e le infrastrutture risalgono in larga parte al periodo compreso tra anni Venti e Settanta del Novecento, le buone intenzioni di Bruxelles rischiano di scontrarsi con difficoltà vecchie e nuove.

Tutto questo ha un riflesso nel Mediterraneo, hotspot climatico globale (la sua temperatura aumenta di 0,3-0,4 gradi per decennio, contro i circa 0,2 della media degli oceani), dove le diseguaglianze di accesso all’acqua sono già forti e dove la cooperazione transfrontaliera rimane fragile. In assenza di una visione realmente mediterranea, la strategia europea rischia di rimanere confinata entro i propri confini amministrativi, incapace di affrontare un problema che, per sua natura, non conosce confini.

La Ewrs è dunque un passo nella giusta direzione, ma non ancora la svolta necessaria. Perché l’acqua diventi davvero un diritto e non un privilegio, occorrono obiettivi vincolanti, risorse certe, una governance locale più forte e un approccio capace di unire efficienza, giustizia e cooperazione.

Solo così l’Europa potrà affrontare la crisi idrica con la consapevolezza che, nel Mediterraneo che si riscalda, l’acqua è ormai la misura più sensibile del futuro comune.

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