Martedì 07 Ottobre 2025 | 16:03

L’astensione? Una piaga, cari candidati: alle regionali coinvolgete gli elettori

 
Ettore Jorio

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Ettore Jorio

L’astensione? Una piaga, cari candidati: alle regionali coinvolgete gli elettori

Le elezioni regionali in atto (tre già celebrate) in sette regioni su venti portano a sollecitare una analisi sulla composizione del partito di maggioranza relativa: l’astensione

Martedì 07 Ottobre 2025, 13:59

Le elezioni regionali in atto (tre già celebrate) in sette regioni su venti portano a sollecitare una analisi sulla composizione del partito di maggioranza relativa: l’astensione. Ciò in considerazione del risultato negativo registrato nelle Marche e nella Val d’Aosta, il 28 e 29 settembre scorsi, nonché in Calabria (appena ieri) in termini di percentuali dei votanti, rispettivamente del 50% (circa 10 punti in meno delle precedenti), 62,98% (solo perché sempre di più autonomista) e 43,18% (inferiore di 1,18% sul 2021).

Tanti i giudizi e diversi. Per alcuni, il non voto rappresenta un fenomeno crescente per una semplice brutta conseguita abitudine; per altri, il mero saldo dell’opinionismo fine a stesso che non vota. Per altri ancora, una sorta di atteggiamento scoraggiante trasformatosi in un brutto fenomeno sociale.

Insomma, toccherà alle regioni ancora al voto (scanditi per prossimità temporale: Toscana, Puglia, Campania e Veneto ove, in alcune, il centrodestra farà scendere in campo la «primavera») dimostrare il peso della capacità attrattiva dei candidati, non solo per essere eletti, ma per vincere l’astensionismo raggiungendo percentuali dignitose dei votanti. Sarebbe un ottimo primato da conseguire, ove a vincere sarebbe il coinvolgimento delle scelte che la Costituzione ha ben regolato in favore dell’intera collettività al voto, oggi quella degli over diciottenni.

Gli astenuti dal voto, se nei numeri soliti, sono infatti il sintomo della peggiore patologia di cui è affetta la democrazia, qualunque sia il motivo della rinuncia ad esercitarla attivamente. I protagonisti del non voto vanno tuttavia categorizzati. Preferibilmente inquadrati in tre distinte tipologie, basate sulla individuazione delle diverse cause che portano a generare le classi dei protagonisti dell’astensione: 1) Quella degli arresi, cui l’atto di votare sembra irrilevante per il consolidato perpetrarsi della convinzione della negatività di chiunque eletto per gestire la res pubblica, ma soprattutto perché sentono i partiti ben lontani dai temi che invece mobilitano le piazze; 2) Quella dei dimissionari dal godimento dei diritti costituzionali, di cittadinanza e sociali, di non esigerli per incoscienza attraverso il voto; 3) Quella degli eterni estranei ai doveri della Nazione, pigri nel partecipare attivamente alla vita pubblica, come se non appartenesse loro e come se non fosse un cardine essenziale per il futuro dei loro figli. A questi vanno ad aggiungersi le vittime degli opinionisti e degli influencer, di coloro che eccedono in espressioni libere su tutto, che favoriscono l’astensione dal voto. Quelli che criticano la formazione della nazionale senza avere mai tirato un calcio ad un pallone. E già, perché il dilagare di una siffatta brutta abitudine causa, a lungo andare, apatia e cinismo in chi li ascolta, oramai ovunque, tanto da convincere le classi meno autonome culturalmente dell’inutilità dell’esperimento elettorale.

Il ceto degli arresi e dei dimissionari sono senza dubbio i più preoccupanti. Mostrano un assoluto interesse del futuro intergenerazionale e, nel contempo, portano gli appartenenti a ragionare da egoisti incalliti. Il loro distintivo reca un pericoloso aforisma: tanto non c’è più nulla da fare! Genera, altresì, una forte preoccupazione la categoria sociale degli insensibili, di quelli che vivono di estraneità al proprio progetto di vita, privilegiando una bevuta al bar con gli amici piuttosto che recarsi ad esprimere il proprio voto.

Poi c’è la casta dei martiri degli opinionisti, di coloro che hanno il «culto dell’opinione per l’opinione» senza attenersi agli argomenti trattati con rigore e con riflessione critica. Una consuetudine dissuasiva della scheda nell’urna molto frequentata per il vezzo di considerare le opinioni uguali, prescindendo da dove provengano e dalla cultura che sia alla base del loro fondamento. Tutto questo accade, peraltro, in assenza di un dibattito serio e garante di un buon contraddittorio. Il terreno di maggiore frequenza di un tale orribile fenomeno è (ahinoi!) quello dei social e degli influenze che vi dimorano h24, ove a chiunque è consentito esprimere le proprie (spesso) idiozie. Quelle che di più inquinano il voto facendolo diventare espressione delle peggiori inconsapevoli tifoserie.

Da qui: 1) Il disincanto verso la politica, percepita oramai come fenomeno pieno zeppo di chiacchiere vuote di ogni pregevole significato; 2) il senso di sfiducia verso le istituzioni democratiche considerate come strutturalmente inefficaci e manipolate, e finanche manipolatorie della comune ragione delle collettività ad esse rispettivamente sottoposte; 3) La sensazione di sovraccarico informativo generativo di stati confusionali e stanchezza nel ragionamento, tanto da dissociare i cittadini dalla partecipazione a determinare le loro scelte elettorali; 4) La considerazione di ritenere ininfluenti e quindi non importanti gli appuntamenti elettorali, tanto da disertarli a causa di una politica che mostra sempre di più indifferenza nei loro confronti; 5) La contraddizione che si avverte tra ciò che coinvolge il mondo e i temi di una politica sempre più antagonista. Basta vedere la recente partecipazione alle manifestazioni Pro-Palestina messa in relazione ai modesti numeri dei votanti. Tutto questo, come si diceva, è divenuto così produttivo di convincimenti asociali: «Non vale la pena votare» (apatia); «tanto non cambia nulla» (cinismo); «mi astengo dalla partecipazione civica, per quello che vale» (mancato esercizio della democrazia attiva).

Fino a quando non subentrerà una maturità collettiva adeguata - diversa da quella che la politica ha generato negativamente con la sua negligenza e malpractice quotidiana e dunque ricca di prospettive e super attenta alle utilità intergenerazionali - il fenomeno dell’astensione porterà i soliti pochi a decidere per quei molti inconsapevoli del loro grave peccato concretizzato con la colpevole astensione dal voto.

Ai candidati in corsa nelle residuali quattro regioni va rivolto il motivato e reiterato invito di coinvolgere le loro collettività a partecipare, a prescindere da chi poi se ne renderà più beneficiario. Il risultato positivo non è solo un dovere civico concretizzato bensì una manifestazione di civiltà, di attaccamento alla propria terra e al futuro delle rispettive nazioni regionali. Registrare il ritorno alle file nei seggi rappresenterebbe l’espressione di una rinnovata cultura, un  segno di progresso e un  atto di serio civismo politico da contrapporre al cinismo politico che condiziona la formazione del ceto dirigente delle istituzioni territoriali. Spero che da Campania e Puglia venga un buon esempio!

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