Le buone notizie sullo stato di salute dell’economia italiana si accavallano quotidianamente. E il cittadino comune va a dormire con un dubbio amletico: ma posso essere sereno che finalmente qualcuno sta pensando al mio futuro oppure mi stanno prendendo in giro e sono vittima del mainstream?
Eppure i motivi per essere sereno ci sono: i rapporti deficit/PIL e debito/PIL migliorano, il Piano di rientro concordato in sede UE sembra accelerare, il debito pubblico rallenta nella sua crescita e costa di meno, aumenta l’occupazione e il tasso di occupazione. E finalmente anche le Agenzie di Rating sembrano essersi accorte che l’Italia migliora e la premiano con voti oltre la sufficienza.
Contestualmente anche un soggetto istituzionale come il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), che certamente non può essere tacciato di mancanza di terzietà, nel suo Primo Rapporto Annuale sulla Produttività 2025 esprime le luci ma anche le ombre del momento.
Le prime le abbiamo elencate; le seconde sono interpretazioni meno comode a sentirsi. I rapporti deficit/PIL e debito/PIL migliorano più per la riduzione del numeratore che per la crescita del denominatore; il Piano di rientro accelera perché la spesa pubblica cresce percentualmente meno della stessa inflazione con gravi disagi per le fasce deboli della popolazione; il tasso di occupazione, peraltro mal retribuita, cresce non solo perché aumentano gli occupati, anche solo part time e anche over 50, ma anche perché diminuiscono quelli che cercano lavoro, gli inoccupati, i giovani e le donne; aumentano le ore di CIGS nei settori industriali e latitano gli investimenti.
Quindi forse il Rating migliora più per demeriti degli altri (Germania, Francia, Gran Bretagna, USA) che per virtù proprie.
Si sa che in terra caecorum beati monoculi!
Ma allora dove sta la verità? Il CNEL individua l’assassino nella scarsa produttività dei fattori produttivi, lavoro e capitale.
In pratica il rapporto fra lavoro e capitale che usiamo per produrre prodotti e servizi destinati ad essere venduti sul mercato è deficitario. Sprechiamo troppe risorse per produrre; in pratica il nostro sistema economico è inefficiente come una macchina che spreca troppa benzina per fare un chilometro. Non ce ne rendiamo conto perché le altre macchine vanno in retromarcia. Del resto ce lo aveva già detto Draghi oltre un anno fa nel suo Rapporto sulla competitività nella UE e in Italia in particolare. Infatti il CNEL ci ricorda che la produttività italiana ha corso negli anni 70-90 ma dopo, negli ultimi 30 anni, ha performato peggio di tutti gli altri: media Italia 0,2% contro 1,2% UE a 27; Germania 1%, Francia 0,8%, Spagna 0,6%. Solo nel quinquennio 2009-2014, grazie ad Industria 4.0, c’è stato un piccolo recupero allo 0,6%.
Le cause di questa debolezza sono la scarsa innovazione, la qualità del capitale umano, le infrastrutture materiali e digitali, la burocrazia, l’efficienza dei mercati dei beni e dei capitali.
Ognuno di noi, da solo, può vedere i gap che ancora oggi dobbiamo colmare in ognuna di queste diverse componenti.
La situazione al Sud, ovviamente, come sempre è ancora più complicata. Il CNEL dà la sua ricetta per combattere la malattia: bisogna potenziare il credito di imposta in R&S per incentivare investimenti in tecnologie digitali e capitale intangibile; inserire il credito di imposta per formazione in settori ad alto potenziale tecnologico; potenziare degli ITS e le facoltà STEM; semplificare le procedure della Pubblica Amministrazione nel rilascio delle autorizzazioni; sostenere la managerializzazione e l’internazionalizzazione delle imprese; far evolvere il sistema bancario, sempre poco a proprio agio nel finanziare investimenti in asset intangibili; spingere la crescita – anche tramite aggregazione – delle piccole imprese perché «essere piccolo» non appare più una virtù.
Nel Sud in particolare, il CNEL auspica che la ZES Unica, ormai sembra sostituita dal Dipartimento del Sud nelle ultime ore, sia più integrata con le politiche industriali di sviluppo nazionali e regionali e che l’addizionalità dell’aiuto della Politica di Coesione sia effettivamente tale rispettando il vincolo di destinazione del 40% a favore delle regioni meridionali.
Ovviamente si deve porre rimedio al ritardo atavico della giustizia civile, alla scarsa concorrenza e al lavoro nero e connesse attività sommerse. Come dare torto al CNEL composto da esimi economisti indipendenti e presieduto da un altrettanto esimio politico ed economista di area filo-governativa?
I compiti a casa li abbiamo avuti, tutti, ora non ci resta che applicarci e studiare per migliorare; la strada intrapresa è quella giusta ma il traguardo appare ancora lontano.