Per chi suona la campana, metaforicamente parlando, in politica? I suoi rintocchi potrebbero segnare l’esclusione dalla candidatura di Michele Emiliano al Consiglio regionale della Puglia, che ha guidato per due mandati. Era intenzionato a non uscire di scena ricandidandosi. Il campanaro è stato Stefano Bonaccini, presidente del Partito democratico, che non parla mai a vanvera. Con la segretaria Elly Schlein ha fatto gioco di squadra e invitato Emiliano a fare, «generosamente», un «passo di lato»: un no soft alla sua ricandidatura. Per Nichi Vendola, invece, il problema non si pone: è presidente di Sinistra italiana, partito autonomo seppur alleato del Pd, come ha precisato lo stesso Bonaccini. Sarà quindi l’elettorato pugliese a valutare l’opportunità della sua «ri-discesa in campo» come candidato consigliere regionale.
E allora: significa che Antonio Decaro sarebbe - il condizionale è d’obbligo - il candidato alla presidenza della Puglia? Il guado sembra superato, ma l’ultima parola spetta a Elly Schlein, attesa a Bisceglie, alla Festa dell’Unità di inizio settembre.
I have a dream: alla fine potrebbe esserci un colpo di scena. Emiliano, per il suo carattere poco incline a subire dinieghi dal partito cui ha dato tanto (ma dal quale ha ricevuto altrettanto), potrebbe non accettare di tirarsi indietro. Il vero nodo, quindi, non sarebbe più la candidatura di Decaro, ma la mancata candidatura, non ancora ufficializzata, di Emiliano. Come reagirà all’«affronto»”, lui che ha guidato da governatore - termine improprio ma ormai entrato nel linguaggio comune al posto di «presidente» - senza ostacoli, salvo negli ultimi mesi, quando non riusciva a convocare l’Assemblea per mancanza di maggioranza?
Emiliano è figura di forte personalità, con il piglio dell’ex pm, cresciuto come politico nazionale, abituato a navigare tra bonaccia e tempesta. Ha difeso la sua giunta e i suoi assessori, talvolta persino l’indifendibile. Per quanto riguarda Alessandro Delli Noci, caduto in disgrazia giudiziaria, inconsapevolmente, l’ha difeso con coraggio impavido e con amore fraterno. A Emiliano il riconoscimento delle armi è dovuto.
Scenario diciamo attuale: fuori Emiliano, in campo Vendola per il Consiglio regionale e Decaro per la presidenza. Una prospettiva carica di incognite, su cui lo stesso Emiliano rifletterà attentamente prima di muovere le sue pedine. Bonaccini lo ha detto chiaramente: «Chi è stato alla guida di una Regione, se ha fatto bene come Emiliano, può ambire ad altri ruoli persino più importanti. Deciderà la Puglia». Più netto lui dell’emissario di Schlein inviato a Bari nei giorni scorsi.
Il «gran rifiuto» di Decaro, se fosse arrivato, avrebbe riaperto la partita: candidature al Consiglio regionale per Emiliano e Vendola e necessità di trovare un altro nome per la presidenza. Ma così non è stato. A destra questo rischio non c’è: la candidatura è già in campo, scampato il pericolo del tertium gaudens. Ora, con Decaro, all’ultimo miglio, verso la corsa e a poche settimane dal voto, la situazione sembra sbloccata dopo mesi di immobilismo che lasciavano spazio solo a sogni e ipotesi.
A destra, il nome è Mauro D’Attis (Forza Italia). Resta da capire se supererà indenne il confronto con gli alleati, Fratelli d’Italia e Lega. Il silenzio di FdI dipende dall’incognita Decaro: se correrà, in campo potrebbe restare D’Attis o un nome di FdI; se invece dovesse ritirarsi, la destra sarebbe pronta a puntare su un noto imprenditore barese. Insomma, la destra, con FdI in testa, gioca di rimessa.
A sinistra, il candidato Decaro ha posto come «minimo sindacale» l’esclusione dalle liste di Emiliano e Vendola. In base alle parole di Bonaccini, les jeux sont faits, rien ne va plus. Tuttavia, bisogna andarci cauti: talvolta el sueño de la razón produce monstruos e, quando il sogno svanisce e torna la vita reale, lo sconcerto resta.
La politica non permette improvvisazioni: va condotta con metodo, come il pelo di un gatto che, se accarezzato contropelo, si rivolta. E poi: davvero Decaro, con il peso di mezzo milione di preferenze, avrebbe rinunciato alla corsa? Sarebbe stato un terremoto. Non è tempo di giochi da «togliti che mi ci metto io». Né di sparigli improvvisati, che logorano chi li pratica e finiscono per condurlo, col tempo, nel cimitero degli elefanti.
In politica non basta conoscere a memoria l’Odissea, l’Iliade o La Divina Commedia: conta il consenso guadagnato non stando sulla tolda, ma nella sala macchine. E Decaro questo consenso lo ha costruito, paese per paese, elettore per elettore.
Cosa si è inventato di recente? Un tour per la lunga Puglia, coast to coast, su un immaginario «carro dei Tespi», presentando il suo libro Vicino. Il sistema elettorale pugliese non è quello del Parlamento, dove i segretari scelgono i candidati: qui la legittimazione passa per il voto proporzionale con sbarramento, un corpo a corpo con gli elettori.
Per questo la sostituzione di Decaro è apparsa un’operazione quasi impossibile, per i progressisti, intrappolato tra personalismi e veti incrociati. Un tam tam risuona nella «foresta» politica: c’è una forte domanda di ricambio all’interno delle liste Dem. La leadership di Decaro non può ignorare questa richiesta, perché il rinnovamento non può ruotare soltanto attorno al presidente: le liste sono ancora troppo affollate di consiglieri regionali di lungo corso. I partner di coalizione devono farsene una ragione.
La base dem chiede con forza discontinuità. E se Decaro avesse davvero imitato Celestino V, il Papa del «gran rifiuto»? Lo scenario sarebbe stato completamente nuovo. Diversamente dal mistero della rinuncia del Pontefice, qui le ragioni sarebbero state chiare. La scelta del sostituto non avrebbe dovuto cadere tra i «contaminati» della politica pugliese, ma su un nome di alto profilo: un pugliese con un cursus honorum solido e conoscenza della macchina amministrativa e del territorio. Così non è stato, e il rischio è stato evitato.
Resta però il dato politico: Emiliano appare tagliato fuori e il suo patrimonio di governo non può essere disperso. La «cassetta degli attrezzi» che lascia in eredità fa invidia. E il caso Puglia resta politico, non personale, a differenza della Campania, dove predomina il bonapartismo di Vincenzo De Luca. Intanto, a destra, le stelle stanno a guardare.