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La corsa al rettorato e il candidato unico dal Colosseo all’Ateneo

 
Gianfranco Longo

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Gianfranco Longo

Palazzo Ateneo sito in Piazza Umberto I, 1, 70121 Bari

Palazzo Ateneo di Bari

Nella recente contesa elettorale per la nomina a Rettore dell’Università di Bari il ritiro di cinque candidati, sui sei che si sono proposti, non è da interpretare come una resa, ma come il segno di un cambiamento culturale

Giovedì 29 Maggio 2025, 14:46

14:47

Nella recente contesa elettorale per la nomina a Rettore dell’Università di Bari il ritiro di cinque candidati, sui sei che si sono proposti, non è da interpretare come una resa, ma come il segno di un cambiamento culturale, il riconoscimento di un’opportunità per passare dal confronto aspro di un successivo ballottaggio a una speranza democratica di trasformazione e di riuscita, così da cercare sempre ciò che ci unisce, mai più confrontandoci in forza di quanto ci divide, e che ci lascia spogli, inermi.

L’università non è, infatti, luogo di scontro politico, dove i candidati riflettono gli indirizzi di schieramenti diversi, contrari, faziosi, divisivi e conflittuali, i quali si prodigano in ogni modo per sgomitare ed emergere e riuscire vincenti su un opposto avversario.

La differenza in un senso comunitario di appartenenza a una missione che è sviluppo formativo delle giovani generazioni e vocazione a produrre una ricerca che sappia offrire prospettive culturalmente ampie, scientifiche e umanistiche, alla ontologica qualità storica di una nazione, senso che si ottiene in un ricomposto tessuto relazionale universitario, è il recupero di un insieme, è il riaggregare forze comuni che unitariamente concorrono allo stesso traguardo, quello proprio di fuoriuscire dalle dinamiche politiche, fatte di bluff, promesse e flirt con gli elettori, poi dimenticate. Si potrà così riaffermare l’indipendenza culturale da ogni schematismo politico fatto di smercio dei ruoli, nell’interesse primario di risolvere un’emergenza che ogni età pone e che ogni epoca inevitabilmente lascia intravedere: salvaguardare le giovani generazioni dal concepire la vita stessa come un comporsi di lotte e di conflitti, dove il vincitore sarebbe un epico superuomo del destino, un messianico trascinatore di un popolino verso farina e forca, illudendo di aver salvato tutti dalla fame.

Il ritirarsi coordinato e desiderato da una contesa alla guida di una Università, come avvenuto qui a Bari, si contraddistingue per essere una garanzia epocale di ripresa e risveglio comunitari e per segnare la stessa Università, in questo caso UniBa, come modello di rinascita ed evento di legittimità che rifondano il significato di un valore vocazionale e di una missione pedagogica: è il passaggio dal confronto allo scoprire nell’altro una possibilità di cambiamento e di cammino di insieme, in cui la storia di Rettore dei prossimi sei anni qualificherà la stessa Università come il procedere senza opzioni a triumviri, diarchie, oligarchie, nascoste e però interagenti e conflittualizzanti, o a superuomini del sortilegio, abili nel bluff del poker e dell’azzardo, nonché del montaggio illusorio di un puzzle mai concluso: i prossimi anni, cruciali da vari punti di vista, non potranno offrire una Università in cui i suoi membri siano considerati delle fiches da buttare con gesti altezzosi e sprezzanti su un tavolo verde, in una partita a poker o di teresina.

I membri tutti di una Università neppure sono dei numeri di un gioco del lotto, barato dal ludopatico senso dell’esistenza; neppure dei gladiatori di un desolante colosseo, proposti per intrattenere quel popolino a cui non rimane altro che la festa, illusoria in una realtà disaggregata di nevrotici del successo, esangui damerini e vamp coccolone, infatuati dal carrierismo, fra ruoli organizzati, svenduti e smistati. I prossimi sei anni invece fonderanno una semantica della tutela e della garanzia: la tutela dell’unità allo sviluppo vocazionale formativo e didattico degli studenti; e la garanzia di un’operosità che darà senso collettivo di unità di intenti e di relazione, di recupero urgente di un bene comune, alla società e alla didattica, che sono i giovani; ma offrirà anche un itinerario di riscoperta democratica in cui chi vince non ha soppresso i contendenti perché più votato mediante bluff, scambi, colpi di scena o coup de siège, ma perché d’intesa alla salvezza di un bene a noi tutti caro e prezioso e che non verrà rilanciato sul tavolo verde, sprofondandoci nella sorte infame dell’oblio, quello giocato con la morte.

Emergerà finalmente quel Bene che doveva già da tempo apparire evidente e quindi da salvaguardare e da rilegittimare: l’Università, nei suoi studenti, nei suoi amministrativi e nei suoi docenti. Si tratta di una svolta epica che insegna come una contesa possa trasformarsi in un riconoscimento che esautora il dubbio e il malcontento e che rilancia al nuovo, oltre che a una riscoperta modernità, il comunitario senso di appartenenza universitaria, che non è un compromesso formativo né un colosseo di scontri, ma sempre una novità democratica, un’epica culturale e un cammino che diventano un traguardo di pace, non un flirt per raffazzonare ruoli né un bluff che raccoglie derisione interna ed esterna. Si tratta di aver scelto, non occasionalmente, per la concordia di lavorare, alzandosi dal tavolo verde che è sempre giocare con altri, sprecando risorse e non sarà mai salvare una prospettiva futura, quella di conservare la memoria storica di un passaggio finalmente compiuto dal colosseo all’Ateneo.

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