Le chiamano «quote rosa», sono nate come principio normativo di una concezione darwiniana del nostro mondo: siccome gli uomini sono più forti, è giusto dare spazio alle donne - che sono più deboli - nel mondo dell’impresa, della politica, del sociale. Le donne, le «scimmie» più deboli del pianeta che osservava Darwin, hanno diritto di occupare gli spazi decisionali che si sono presi i gorilla maschi. Se ne discute da almeno un secolo e tranne evidenti e rare eccezioni storiche, il mondo dei poteri continua a girare al maschile.
Ebbene, la decisione presa dal consiglio regionale pugliese di imporre la proporzione 60 e 40 ai due generi sessuali nelle liste delle prossime votazioni regionali, salvando la scappatoia di ridicole sanzioni pecuniarie ai partiti o coalizioni che non rispettano le quote rosa o annullando il voto della scheda elettorale che non le osserva, è una roba che avrebbe fatto ridere anche Darwin, se fosse ancora vissuto negli ultimi 15 anni.
Sì, perché sono 15 anni che il consiglio regionale ci prova. Prima col rinvio del parlamentino pugliese (2010) a conclusione della prima legislatura Vendola: non c’erano i numeri di maggioranza, meglio non provarci a passare dal voto. L’appuntamento si ripropose nel 2015 - a conclusione delle seconda legislatura Vendola - e fu una bruciante sconfitta per un governo locale di sinistra. Si arriva al 2020 (giunta Emiliano), col governo Conte II costretto a intervenire con poteri sostitutivi – lo ricorda l’ex ministro Boccia - su un consiglio regionale che non digeriva l’imposizione delle «femminucce» nelle liste. Ed eccoci all’oggi, con roboanti ed entusiastici comunicati del Pd che esaltano il risultato raggiunto dall’assise regionale nell’allinearsi alle altre Regioni. Peccato che non cambi nulla rispetto a quanto accaduto già 5 anni fa: l’inammissibilità di liste troppo maschili, pure approvata in commissione, è bellamente saltata e restano le piccole multe già previste dalla legge. Tanto quelle, se arrivano, spiovono a giochi elettorali fatti e a nuovo consiglio regionale già insediato. Della serie: cambiare tutto per non cambiare niente.
Sarà per questo motivo che lo stesso Emiliano, d’intesa con i suoi civici, ha preferito lasciare da solo il suo Pd a votarsi una leggina che di riforma non contiene nulla. E sarà per questo che anche gli «amici» pentastellati si sono tirati fuori dal già fragile campo largo pugliese, lanciando frecciate sul risultato, mentre a sinistra lamentano di esserne usciti con l’amaro in bocca. Insomma, un’altra occasione mancata in un mondo (quello delle istituzioni locali) che continua ancora a ragionare nelle forme primitive studiate da Darwin, come se la politica la si faccia bene se sei nato col pene o sei nata con le tette, come se il maschio sia di per sé più bravo a tirare voti in campagna elettorale rispetto alla donna (andateglielo a dire alla presidente del consiglio in carica… visti i risultati impensabili di Fratelli d’Italia nel Paese).
Ora, spellarsi le mani per la grande conquista «di civiltà» raggiunta dopo 15 anni di tentativi in Puglia, come stanno facendo i Dem, rasenta il ridicolo. Perché delle due l’una: o i partiti, come tra l’altro lo stesso Pd fa da tempo, rispettano la parità di genere a prescindere dalle norme impositive, o altrimenti non si può far passare per rivoluzionaria una leggina che non sposta di una virgola quanto era già vigente e che ci riproporrà, alle prossime votazioni, gli stessi schemi di sempre: i partiti mettono le figurine femminili nelle liste, ma la campagna elettorale vera la fanno per i maschietti.
Ecco, ai Dem usciti trionfanti dal parlamentino pugliese verrebbe da dire: abbiate rispetto delle donne che, nell’ultimo secolo, di battaglie sociali e politiche per combattere il maschilismo primitivo imperante le hanno fatto davvero e hanno cambiato il Paese. Se proprio non vi va di farlo in onore della premier in carica, fatelo almeno in nome di Nilde Iotti. Perché Darwin, da lassù, vi osserva e più che la natura, che ha tanto da insegnarci, vede un circo.