Sabato 06 Settembre 2025 | 20:44

La concomitanza delle vie di tregua e il ruolo degli atenei

 
Gianfranco Longo

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Gianfranco Longo

La concomitanza delle vie di tregua e il ruolo degli atenei

Scelte politiche, culturali, formative, intese a favore delle giovani generazioni, ci allertano per strapparci dalla soglia dell’indifferenza verso guerre mediorientali, europee o africane, queste ultime poi solo con un senso di tedio ricordate

Mercoledì 02 Aprile 2025, 10:45

Scelte politiche, culturali, formative, intese a favore delle giovani generazioni, ci allertano per strapparci dalla soglia dell’indifferenza verso guerre mediorientali, europee o africane, queste ultime poi solo con un senso di tedio ricordate. Le fedi nascono in Medio Oriente, non nella tecnocratica epopea euroatlantica; dal Medio Oriente ci deriva la civiltà dell’amore, quella giudaico-cristiana, ma anche per certi versi quella mussulmana, prima che fosse ridotta a cavillo giuridico e precetto politico, cioè Islam, scompaginato da fazioni, discordie, postulandosi in teocrazia, regime che nega la tutela dei diritti e la garanzia delle libertà fondamentali. Con difficoltà, però, riusciamo ancora a dare senso alla civiltà occidentale, sempre più accasciata, in preda a sortilegi militareschi, focale ischemia da cui si diramano scosse e crisi interne al nostro continente, oppiato di nostalgie e vecchi fasti. Ucraina ed Israele si avviano a una soluzione dei loro conflitti che avvince solo coloro che in Europa sono politicamente affetti da anemia intellettuale, e che quindi si affidano a proclami d’occasione, rassicuranti e spronanti, al tempo stesso, o al riarmo e allo sfruttamento delle “terre rare”, o all’occupazione territoriale, situazioni sovrapponibili, coincidenti per spietatezza dei ricavi: siamo alla resa dei conti di due conflitti, ma non ancora di una guerra, guerra che invece continuerà a segnare le sue tracce, spostandosi altrove, forse proprio dal Medio Oriente in Europa, quel sonnecchiante continente, stordito da arzigogolate istituzioni comunitarie del riarmo e consolidato in un’economia fittizia. I campus universitari devono intuire l’urgenza della situazione, la subordinazione che pervade il continente europeo, destinato a un riarmo tanto inutile quanto sospetto, ed intravedervi i rischi di anestesia delle giovani generazioni, rischi che emergono da paura e da indifferenza che accerchiano tali generazioni in un clima di scelte che “placa” la violenza della guerra con accordi di occupazione territoriale, benedetti dal diritto internazionale e dal fragile e limitato diritto comunitario, sovvenzionato dall’autopoiesis monetaria subalterna all’industria bellica. Ma i campus universitari si dilettano in commedie della vanità, come quella che scrisse Elias Canetti nel 1934, rappresentando uno Stato totalitario immaginario (pericolo che corre l’Università italiana, diventare immaginaria) dove sono stati aboliti gli specchi e con essi le identità personali di ognuno, sino alla crisi collettiva, una psicosi di massa che si fa presagio della morte politicamente indotta; per Canetti rivelazione di ciò che poi sarà il nazismo. Se i campus universitari si escludono da una discussione su quanto avviene in Europa, non si riuscirà ad aiutare le giovani generazioni a ricordare, con la conseguenza che la storia del potere ci seppellirà, rendendo le giovani generazioni un surrogato di sé stesse, trasformate tutte in truppe e milizie scelte. Non consolano, pertanto, le intricate simmetrie e asimmetrie di candidature alla guida dei campus universitari, se offrono un intorpidimento della comprensione: la cura delle giovani generazioni è il primario compito delle Università, loro fondamentale servizio alla storia di una nazione o di un continente affinché gli anni a venire non siano civilmente incerti e culturalmente anestetizzati dal diritto comunitario, condizione che reca con sé l’obsolescenza dell’Europa e delle sue Università. Ci si chiede infatti che senso abbia la vita universitaria se non la si è spesa totalmente a beneficio delle giovani generazioni, alla loro formazione,
perché non perdano l’identità come ci avverte nel presente la lezione di Canetti, e con l’identità storica perdano anche la memoria che dà senso a ogni discendenza perché ne rivela la sua origine. I taumaturghi dell’accademia e dei ruoli, che si sistemano in comodi scatoloni, come tanti soldatini di piombo, andranno in pensione, come tutti, e successivamente l’oblio metterà in pensione un’esistenza in cui ha prevalso una fentanylica ripetitività, per essere stata pedagogicamente narcotizzante. Le Università non sono contenitori di posti, di ruoli, o di un imperiale prestigio autoreferenziale, ma sono espressione iniziale di un sapere discusso, di confronto, di ricerca anche sulle proiezioni del presente negli anni che verranno. Il risveglio è sempre possibile, e ciò scongiurerà la territorializzazione dell’Europa da parte della guerra, salvandone le istituzioni comunitarie dal parassitismo dei mercenari della burocrazia bellica, evitando finalità comiziali e conseguenti prese di potere. Si potrà così consolidare ancora nelle giovani generazioni la custodia delle libertà e dei diritti individuali, sicurezza non mediata da economie di guerra, senza che una commedia delle vanità, cioè la frenesia di candidature a governare l’Università internamente, si trasformi in una sciagura generazionale sostenuta da un potere accademico autopoietico, facendo abortire nei giovani la loro formazione intellettuale e la loro questione culturale, oltre alle loro legittime aspirazioni esistenziali e di lavoro.
Davvero l’Università lascerà perdere i suoi giovani abbandonandoli a essere futuri reggimenti UE, facendosi occupare dall’infatuazione delle cariche e dal prestigio dei ruoli, smarrendo le finalità del suo servizio formativo e smarcandosi dal testimoniare la verità sulla storia attuale? Se così fosse in quest’ora delicata della storia europea e della sua cultura, l’Università mostrerebbe, già da sé, la stagnazione integrata come apoteosi di scucite scelte e di scheggiate opportunità, negate, in un vero e proprio blocco dei saperi.

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