Giacomo Olivieri va a Parabita, a casa di familiari. Il più «pericoloso boss della criminalità organizzata» in Puglia e - a quanto pare - l'unico uomo in grado di tenere sotto scacco le votazioni a tutti i giri elettorali degli ultimi 20 anni, va all'esilio. Come Napoleone a Sant'Elena.
Dopo 13 mesi di «educazione» dietro le sbarre, l'unico (?) vero artefice dello scambio di voti politico-mafioso a Bari, può stare ai domiciliari ma lontano dai fasti principeschi della lussureggiante vita barese con la sua lady preferenze. Ha parlato quanto basta Al Capone e ora deve tornare, da reietto, dalla porta della cucina di provincia, non da prim'attore nel salotto barese che pure, per anni, lo ha coccolato, adulato, inseguito (fosse destra o sinistra, purché ci fossero pacchetti di voti) e elevato a rango di «regista» politico.
Tutto bello e giusto, se non fosse una parodia di un film di Martin Scorsese. Cioè se l'umiliazione - dopo l'educazione punitiva di un carcere - servisse davvero a scoprire il velo delle mille trattative, delle centinaia di scambi tra una crocetta sulla scheda e una bombola a gas, tra una promessa politica e 50 euro elargiti a Triggiano, Valenzano o Bari per far eleggere qualcuno. Se davvero la palude di voti comprati, assunzioni decise, nomine di comodo nelle aziende pubbliche, consensi a valanga per liste elettorali-aziende, fossero risolti. Tutto vero se solo Giacomo Al Capone lo avesse fatto in beata solitudine, senza le «benedizioni» che gli arrivavano da desta o sinistra, entrambe gongolanti quando l'orologio scoccava l'ora delle primarie o delle une vere nel 2005, nel 2009, nel 2010, ai gazebo del 2014 e del 2019.
Tutto utile, poi, se il carcere, sovraffollato e puzzolente, servisse davvero ad «educare» i tanti Al Capone in giro per l'italia, e non fosse - invece - un girone infernale dove migliaia di reietti, diseredati del mondo, immigrati in fuga o tossici per necessità, ladri di polli o violenti per marginalità, bulli psicopatici o stupratori seriali, non restino li a galleggiare sognando una Parabita dove far approdare le loro inutili, tristi, vite. Là dove solo Al Capone, esiliato a Sant'Elena, può arrivarci mentre i veri Napoleone continuano a giocare nelle stanze dei bottoni.
Tutto giusto se Giacomo Olivieri fosse davvero Al Capone, e non solo (questo il dubbio) «l'utile idiota» a cui piaceva la vita da parvenu nel teatrino dei burattini che giocavano a dadi sulla politica pugliese (e dunque sul libero, costituzionale, sacrosanto diritto dei cittadini di decidere i propri rappresentanti istituzionali). E, per questo, l'unico, presunto «burattinaio» - insieme ad altri 130 «faccendieri» a vario titolo indagati - che doveva pagare il dazio del malaffare diffuso. Solo perché - più ingenuamente di altri - gli effetti di quel presunto malaffare gli piaceva pure esibirli e farli diventare modello sui social.
Educare uno per colpirne 100, si suol dire. E in effetti Giacomo Al Capone, a quanto pare, era un «boss» da colpire, così incauto da chiedere esplicitamente voti ai clan (questa l'accusa) mentre altre 100 anime candide, con poteri decisionali e responsabilità di governo su Bari, non sapevano nemmeno (guarda un po’) che quegli stessi clan decidevano le assunzioni nelle aziende pubbliche da loro governate, stando a quanto emerso dalle indagini di Codice interno.
Giacomo Al Capone, esiliato a Parabita perché venga educato al triste esilio con i parenti, lontano dai fastosi letti dorati condivisi con la moglie, era - a quanto pare - l'unico, vero artefice di un «sistema» di scambio politico-mafioso che per anni ha condizionato la vita di un'intera regione. Regione che, a ottobre o al più tardi tra un anno, si accinge a votare, probabilmente con gli stessi altri 100 attori-burattinai della scena politica in cui Giacomo Al Capone danzava tra piscine, party e cene nel dorato mondo della Bari da bere. L’avranno imparata la «lezione» gli altri?
Né la sinistra legalitaria scesa in piazza durante la campagna elettorale delle comunali, né la destra che non è scesa in piazza perché era convinta che un «commissariamento» del Comune avrebbe risolto quella campagna elettorale al posto della sconfitta nelle urne, hanno fatto i conti - a nostro avviso - con la stagione di Al Capone. Civici trasversali, traghettatori di voti, scambisti della politica sono già al lavoro sulle liste in Puglia, mentre a Roma i capibastone stanno decidendo l'assegnazione geografica della competizione (Taranto tocca a te, la Regione a me...lì il tuo candidato, qui il mio). E le municipalizzate di Bari - mi raccomando - non dite che sono «commissariate», ma solo «vigilate», così nessuno si offende e la città che non vuole sentirsi appellare «mafiosa» può dimenticare in fretta.
Tutto risolto. Nessuno è colpevole, e l'unico malfattore, Al Capone, dorme a Parabita lontano dallo scomodo materasso di una cella o dal letto dorato dei fasti baresi. Bari può tornare in strada a dire che non è «mafiosa» e poi tornare allegramente a votare per i suoi Olivieri di turno, destra o sinistra che sia, alle prossime regionali. Anche per la Regione infatti - «ripulita» dai Sandrino Cataldo e dagli Al Giacomino di turno - è tutto risolto. Il malaffare è stato sconfitto e la «buona politica» ha vinto: le liste civiche, al prossimo giro, non si faranno vedere più di tanto sui manifesti elettorali, non si sa mai...
Un happy ending degno di un film hollywoodiano. Anzi, sembra che il finale sia già noto, visto che a sinistra hanno un candidato governatore da mezzo milione di preferenze e a destra dopo vent’anni di sconfitte non sanno ancora che pesci prendere...Che film! Peccato non lo diano al cinema.