Sabato 06 Settembre 2025 | 21:49

Ma la scuola intelligente può anche insegnare l'intelligenza artificiale

 
lino patruno

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lino patruno

Ma la scuola intelligente può anche insegnare l'intelligenza artificiale

La possibilità c’era con i soldi del Pnrr, Ma non se ne è fatto niente. E così l’Intelligenza artificiale, che continuiamo a scrivere con la «I» maiuscola come se fosse una divinità del male

Venerdì 28 Marzo 2025, 12:17

Ma insomma, può la scuola non insegnare più l’alfabeto? Non quello dalla A alla Zeta. Ma quello nuovo dei cellulari e dei computer, cioè l’alfabeto dell’informatica. Vediamo bambini sul passeggino che non maneggiano più il ciuccetto, ma hanno il telefonino della mamma sul quale vedono i cartoni. E dal passeggino in poi, sarà sempre più così. Su quell’affare comunicheranno col mondo, e non a voce, che è ormai politicamente scorretto. Ma scrivendo con quella scrittura per cui un «non» diventa «nn» e un «perché» diventa «xche». Con un ridicolo risparmio di tempo, ma vallo a spiegare. E vai addirittura all’università, e il panico si diffonde quando, esempio, devono mettere le firme per un corso a presenza obbligatoria. Nessuno ha un foglio o una penna.

Ora da un mondo che va avanti così, la grande assente è proprio la scuola. Niente cellulari come se servissero solo per distrarsi e scambiarsi messaggi Tik Tok. E magari servirebbero invece a capire come si possa mettere d’accordo quell’affare là e tutto il resto da imparare. E vedendo se quell’affare là li può aiutare più che distrarli. Salviamo il soldato libro, per carità. Ma cerchiamo di non far vivere ai nostri ragazzi due vite parallele, dato che di confusione ne hanno già a sbafo. Quando si è passati dal pallottoliere alla calcolatrice, questo si è fatto. Certamente continuando a fare addizioni e moltiplicazioni sul quaderno, altrimenti non avrebbero saputo mai quanto fa due più due. Ma senza che la calcolatrice fosse uno scandalo. E tantomeno la lavagna elettronica al posto del gesso, potendosi disegnare un triangolo isoscele senza gridare all’eresia.

La possibilità c’era con i soldi del Pnrr, Ma non se ne è fatto niente. E così l’Intelligenza artificiale, che continuiamo a scrivere con la «I» maiuscola come se fosse una divinità del male. Nei nuovi curriculum per il lavoro, è già ora considerata determinante sapere cosa sia e come usarla. Ma viene ancora vista come qualcosa che il lavoro lo toglierà invece che darlo. E così dovremo fare la mitica transizione digitale (che è indigesta già dal nome) rubacchiando informazioni di qua e di là. Così facendo diventare l’Intelligenza artificiale pericolosa come sempre se un sapere è concentrato in poche mani. Quando Gutenberg nel 1455 inventò la stampa a caratteri mobili, reinventò in effetti la democrazia dopo Atene. Si spaccò addirittura la chiesa cattolica, facendo perdere ai preti il monopolio della scrittura e dei testi. Facendogli perdere il potere: nacque infatti il protestantesimo.

Cosa fece il maestro Manzi dal 1960 in poi in tv? Insegnò a leggere e a scrivere agli italiani che non ne avevano avuto la possibilità. Riunificò l’Italia più di Garibaldi. Oggi ci vorrebbe un Manzi 2.0. E dovrebbe occuparsene la Rai col suo servizio pubblico, mica può fare solo Affari tuoi. Tanto di cappello per il bravo terrone Stefano De Martino che ne ha fatto un successo Platinum, anche se è un segno dei tempi: a Lascia o raddoppia contava la competenza, qui conta solo la fortuna. Ma tant’è. Prime vittime della transizione digitale per decreto sono gli anziani, tutti sull’orlo di una crisi di nervi fra password, pin e account. Da imparare alla carlona, magari con lo sfottò dei nipoti. Ma senza che un governo si renda conto che in quell’orgia si ferma il Paese, non solo gli anziani.

La scuola italiana si è votata per ora alla Bibbia e al latino. Ma informatica e inglese (altro tormentone) sono fra le varie ed eventuali, pur essendoci «attività collaterali» a dir poco esoteriche. L’educazione civica è un’altra precaria. E così i ragazzi non solo non imparano che si attraversa sulle strisce pedonali, ma non imparano neanche che si va a votare. Altrimenti si fa presto ad avere un Trump o un Putin (pardon, Annibale) alle porte. L’educazione sessuale è il dilemma più indigesto: i genitori non vorrebbero metterla in altre mani se non le loro. Ma poi non parlano con i figli e i figli non parlano con loro e così tutto finisce nel disastro del branco di amici o, peggio, dei social.

Per ora la scuola ha abolito il linguaggio schwa e gli asterischi che non volevano discriminare maschi e femmine. E c’è una campagna per affidare alla scuola l’educazione alle relazioni, e ci mancherebbe, vivendo noi il tempo di massima connessione e di minimi rapporti.

Ma in fondo, cosa di molto semplice dovremmo chiedere alla scuola? Di insegnare ai ragazzi «con dolcezza». Di insegnargli che «per ogni nemico c’è un amico» e che per ogni farabutto c’è un eroe. Che «non tutti gli uomini sono giusti e non tutti sinceri». Che è molto più onorevole essere bocciato che barare. Che bisogna perdere con eleganza e vincere allo stesso modo. Roba immortale. È infatti quanto raccomandava Abramo Lincoln nel 1830 all’insegnante del figlio.

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