Sabato 06 Settembre 2025 | 18:44

Niente luce interiore, per trovare lavoro serve la scuola giusta

 
lino patruno

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L'editoriale di Lino Patruno: «Niente luce interiore per trovare lavoro serve la scuola giusta»

O è una bugia la disoccupazione, o è una bugia che le aziende non trovano ciò che vogliono

Sabato 01 Marzo 2025, 11:54

Circola una battuta su Milano: se non conosci l’inglese, non sai che lavoro facciano in quella città. Perché non c’è lavoro che venga detto in italiano: effetto dell’anglofonia imperante pur nel Paese europeo che meno conosce quella lingua. Un Paese in cui se leggi «Bread Shop» non sai se lì vendano pane o facciano lo shampoo. Ma effetto anche della diffusione dei lavori che hanno a che fare con le nuove tecnologie, con Internet, ora con l’Intelligenza artificiale. Sei righe dattiloscritte di premessa per farci una domanda e darci eventualmente una risposta (Marzullo perdoni). Una domanda nell’Italia che se non ci fosse bisognerebbe inventarla perché mai noiosa. Esempio: come mai con una disoccupazione che scende (ma che comunque è la più alta della Ue) ci sono un milione e mezzo di lavoratori che non si trovano? O è una bugia la disoccupazione, o è una bugia che le aziende non trovano ciò che vogliono.

Correvano i tempi del 1968 quando si diceva: «Segui la luce interiore«. Lo si diceva a chi non vedeva chiaro nel suo futuro, insomma cosa fare da grande. Formidabili quegli anni, si è poi detto. Ma anche formidabili quei danni. Compresa la luce interiore, che chissà quanti ne ha messi fuori strada. Di peggio avviene oggi, società dell’esibizione e della rappresentazione che è tanto esteriore da mandare in blackout non solo la luce interiore. O società tanto piegata sui cellulari, da vedere solo l’abbaglio di quello schermo. Allora bisogna scegliere se fare tutti gli architetti o i comunicatori o magari i tecnici da chiamare a casa quando si impalla il computer. O gli assistenti (brutta non corretta parola «badanti») per i tanti anziani soli in una società che più invecchia meno se ne preoccupa. Diceva Woody Allen: «Dio è grande, ma a che serve se la domenica non trovo un idraulico?» Perché la mancanza di sintonia fra chi cerca e chi offre lavoro è peggio di quella fra Trump e Zielensky. Ora percorrere questo sentiero è sconsigliabile quanto attraversare Piazza Moro a Bari di notte. Perché l’obiezione, fondata o infondata che sia, è nota: la scuola o l’università non devono preparare a un lavoro ma preparare ad affrontare la vita. Insomma non una visione aziendalistica ma una visione umanistica. La cultura non è saper fare ma sapere cosa fare.

In attesa che il dilemma sia risolto, la situazione è questa: un’azienda su tre in Italia non trova ciò che vuole, quindi è disponibile molto più lavoro di quanto sembri. Nota anche la seconda osservazione: con quello che li pagano, i giovani preferiscono arrangiarsi col lavoro nero che almeno gli lascia la domenica libera. O se ne vanno all’estero. Ed espatriano soprattutto dalle regioni più ricche, il che significa che non è una scelta di necessità. Servono operai specializzati, e oggi anche loro non hanno più la tuta ma il camice bianco. Servono gli informatici. Serve tutta la vasta platea capace di mettere mano al nuovo mondo dei software più che a quello degli impieghi. Ora cominciano a servire anche i medici, se non se ne sono già andati nelle cliniche private o in Francia e Germania. Servono gli addetti alla mitica «transizione ecologica», altro termine da itterizia se non lo si chiama solamente ambiente.

Quando invece di WhatsApp c’era ancora il telefono fisso nel corridoio di casa, si frequentava Ragioneria dicendo: così trovo subito il lavoro. Ora si frequentano ancora (troppo) le scuole al termine delle quali puoi solo mandare i curriculum. La Lutech è una multinazionale tecnologica italiana che ha annunciato un altro investimento a Bari con ulteriori cento assunzioni (metà con meno di trent’anni). Ma Lutech è solo una della ventina di multinazionali che negli ultimi tempi a Bari sono sbarcate: non per niente Bari è la quinta città tecnologica d’Italia. E molti ragazzi stanno rientrando per questo dal Nord, in un contro-esodo sul quale prima o poi dovranno pur venir fuori le cifre per non parlare sempre e solo di «fughe». Sono i ritornanti. Che si affiancano ai ragazzi usciti dal Politecnico e dalle università: le «risorse umane» senza le quali, in tempi di globalizzazione, chi ha scelto Bari poteva andarsene in un altro posto qualsiasi del mondo. E in Puglia ci sono gli Its (Istituti tecnici superiori) dai quali si entra in azienda più velocemente che coi curriculum. Servono sempre i professionisti, ovvio, se non sono solo avvocati. Ma se non si è tanto bravi in matematica da frequentare licei e facoltà dove domina, servono gli addetti al turismo, e non è detto che chi comincia da cameriere non possa finire da chef.

Serve, sacrosanto, che chi assume non giochi sporco col trattamento. Ma ora più che mai «cosa farai da grande» si dovrebbe cominciare a capire dai 13 anni. Poi non è necessario che lo ripeta il presidente degli industriali pugliesi Fontana: ragazzi, non è vero che chi conosce il Sud lo evita. È vero tutto il contrario.

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