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Garantismo-giustizialismo: la contesa sulle riforme travolge le norme e l’etica

 
Ettore Jorio

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Ettore Jorio

Garantismo-giustizialismo: la contesa sulle riforme travolge le norme e l’etica

No, la politica si comporta diversamente difendendo i suoi, anche quando sono indifendibili, in compagnia di media partigiani ove sono frequenti i risolini giustizialisti quando ad incappare è uno dell’altra parte

Venerdì 28 Febbraio 2025, 14:00

Preoccupa la irriducibile contesa tra chi presume, vicendevolmente, di essere garantista e tra chi invece offre atteggiamenti giustizialisti. Entrambi vivono tuttavia in un unico contenitore, la politica, dal quale fanno capolino per accusarsi reciprocamente, a seconda di chi intende esaltare l’innocenza dei propri richiamandosi al garantismo assoluto allorquando avvertono di essere minacciati dai sapori appena usciti dalla pentola del giustizialismo dell’avversario. È davvero emblematica questa vicenda. Un continuo riconcorrersi di una politica che non si comporta con la dovuta cautela nell’interpretare correttamente se stessa. Alcune volte sembra il genitore che lascia i suoi bambini in compagnia del vicino imputato di pedofilia ovvero chi consegna le chiavi di casa a chi è imputato di furto. Le basterebbe che tutti i suoi attori avessero la decenza di autosospendersi ad ogni grave inciampo e di fare i processi in tribunale.

No, la politica si comporta diversamente difendendo i suoi, anche quando sono indifendibili, in compagnia di media partigiani ove sono frequenti i risolini giustizialisti quando ad incappare è uno dell’altra parte.

Insomma, quella in uso alla politica non è una legge uguale per tutti. Quella lex eadem est in omnibus che sono in tanti da mettere in forse, a seguito di esiti di frequente troppo generosi della magistratura giudicante che, nei casi più complessi, ricorre ad una logica perditempo utile a concretizzare prescrizioni a valanga. Continuerà a farlo nonostante alleviata dalla mole processuale impegnata sul reato di abuso d’ufficio oramai alle ortiche. Una siffatta brutta disputa, ove ad essere ben proporzionati sono i richiami al garantismo attenzionati solo verso i propri, ricorda tanto una simpatica storiella della Sicilia più popolare nota come: U giudizio di la signura batìssa. Recitato in siciliano racconta: Ri cu jè chiddu piattazzu? u'to signura batìssa. A jè miu chiddu piattuzzu? In lingua continentale dice di una badessa che entra nel refettorio e chiede alla cuoca: di chi è quell’enorme piattone di roba pronto per essere portato in tavola? La cuoca reverente le risponde che è suo, signora Badessa. Di contra, la Badessa, rivolgendosi alla cuoca, dice di aver ben capito che fosse suo quel piattino!

La simpatica vicenda rende l’idea di quanto siano da ritenersi gravi i «fattacci» attribuiti ovvero imputati agli avversari rispetto ai medesimi accaduti addebitati ai propri, finanche in atti giudiziari ben circostanziati e ben risalenti sotto il profilo della responsabilità.

Prescindendo dall’esistenza dei tre gradi di giudizio per rendere una sentenza di colpevolezza ovvero di innocenza definitiva, tali da fare ritenere non colpevole alcuno sino al riconoscimento della colpevolezza ad esito della sentenza di ultimo stadio giudiziale, esistono altresì due livelli di attinenza ai principi costituzionali. Per questo indiscutibili.

Il primo è lo Stato di diritto scolpito nella Costituzione, così come in quelle di tutti i Paesi democratici, basato sul principio di legalità esteso e gravante sul legislatore. L’altro è l’etica, improntata sulla filosofia morale che regola il rapporto fiduciario tra rappresentati e il rappresentante, ove i primi hanno titolo a pretendere atteggiamenti corretti dal secondo, improntati al migliore comportamento umano e istituzionale.

Lo Stato di diritto, rapportato oggi ad una condizione esistenziale dei governi democratici, pretende che la concentrazione del potere politico non appartenga ad un solo ceto dominante (Montesquieu nel 1748).

Un tale grave pericolo si è tuttavia oggi materializzato con la formazione di una classe politica, espressione dei maggiorenti dei partiti che, specie nelle istituzioni periferiche, fanno insieme di tutto e il contrario di tutto. Questo genere di consociativismo produce ciò che è oramai divenuto il contrario dello Stato di diritto. Lo riduce ad una condizione formale, non sostanziale, alla quale fanno tutti riferimento, salvo poi ad essere i primi a non rispettarlo dalla rispettive postazioni. Le maggioranze di governo, anche territoriale, impongono leggi che lo contraddicono, di frequente con il bene placito delle opposizioni che, molto spesso, non ne comprendono neppure il contenuto recondito. Per non parlare delle lesioni ai diritti fondamentali che avvengono attraverso l’esercizio amministrativo e normativo-regolamentare.

Il frequente ricorso alle leggi di bilancio piene zeppe di emendamenti che nulla hanno a che fare con l’art. 81 della Costituzione; ai decreti leggi fatti ad personas, piuttosto che regolare in stato di straordinaria necessità e urgenza; alle Milleproroghe dove c’è di tutto e di più di quanto si possa immaginare ha contribuito alla formazione di uno Stato non affatto fondato sul diritto. Bensì sulle esigenze auto-generative della politica. D’altronde, abbondano le leggi regionali cosiddette omnibus, spesso ispirate a favorire interessi non propriamente pubblici e a consentire, nel contempo, elaborazioni frastagliate di leggi a quella dirigenza incapace di mettere penna a legislazioni organiche, degne di nota e di pregio.

Quanto ai codici dell’etica è difficile persino parlarne. E’ infatti da tempo in disuso mettere a terra dei comportamenti umani nelle istituzioni ispirati ai principi etici, all’adeguatezza e all’opportunità. Quelli che sono da considerarsi l’insieme dei criteri di buona pratica nell’esercizio di compiti pubblici, purtroppo frequentemente elusi. In quanto tali da fare assolutamente valere quale somma organica di regole comportamentali da ossequiare, con puntualità e continuità, per garantire il rispetto dovuto ai destinatari dei servizi e delle prestazioni istituzionali.

Compito dei partiti è pertanto quello di chiedere e pretendere un passo indietro, in difetto del dovere di farlo da parte di chi generaliter e reiteratamente viola la legalità e l’etica.

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