Coupe de theatre. Dario Franceschini ha cambiato spalla al suo fucile, davanti alle divisioni all’interno dell’opposizione e al primo referendum abolito e al secondo solo un miracolo potrebbe farlo passare. In breve, Franceschini ha proposto di «marciare divisi, colpire uniti». Si è ispirato alla teoria di Helmut Von Moltke uno dei più grandi strateghi militari della storia.
Dopo l’insuccesso del cosiddetto campo largo e la bocciatura del referendum sull’autonomia differenziata da parte della Corte Costituzionale , cui Elly Schlein si era spesa moltissimo, non avendo più una linea politica, Franceschini ha preso l’iniziativa, dicendo che l’Ulivo è il Partito democratico e che la destra si vince con l’ossimoro «divisi-uniti».
Al Nazareno, è calato il silenzio assordante, dopo che il gatto nero ha attraversato la strada dell’opposizione. Fuor di metafora, è entrata nel panico, da quando è stato bocciato il referendum indetto contro l’autonomia differenziata, su cui l’opposizione si preparava a dare scacco matto alla maggioranza. Vinto il referendum, la coalizione guidata dalla Schlein avrebbe dovuto gettare le basi, per prendere l’abbrivio per un rilancio politico a tutti gli effetti. Insomma, il referendum vittorioso era una sorta di mastice per tenere insieme il Partito democratico, M5s e Avs e sconfiggere la destra meloniana. Il disegno politico è svanito e punto a capo e daccapo.
Il futuro prossimo non è tutto rosa e fiori, dato che la Consulta ha dato via libera al quesito per dimezzare da 10 a 5 anni di residenza in Italia per gli extracomunitari per ottenere la cittadinanza e ai quattro referendum in materia lavoristica che riguardano la job act, indennità nei licenziamenti nelle Pmi, contratti a termine e infortuni. Referendum che si svolgerà, nel corso della primavera prossima, è, probabilmente, scontato il flop. Maurizio Landini e Elly Schlein si mobilitarono per la raccolta delle firme e misero il loro imprimatur politico sul referendum. Qui casca l’asino! Nel partito al Nazareno, ci sono divisioni profonde, la componente riformista è intenzionata a non votare il referendum sul Jobs act, dato che fu il governo Renzi a volere la riforma, mettendosi contro l’ala più di sinistra interna e la Cgil soprattutto. Il ragionamento che fanno i riformisti non fa una grinza: ci siamo battuti per far approvare la riforma sul lavoro e, in primavera, dobbiamo votare contro: un nonsense. Come al referendum sull’autonomia differenziata è stata data una cifra politica tout court, così e’ stata data a quello sul Jobs act.
Nel Pd, ci sono movimenti sul fronte interno, da un lato i cattolici, dall’altro, i riformisti. I convegni di Milano e di Orvieto sono significativi per la presenza di Romano Prodi e di Paolo Gentiloni. Dato tutto questo movimento, a Milano, l’obiettivo è stato uno solo: risvegliare l’anima cattolica per molto tempo dormiente. Si tratta, a ben vedere, di risaldare la componente cattolica e farla contare di più, idem per i riformisti di Orvieto, visto che in questi anni alla Schlein sono state lasciate mani libere di fare e disfare, in specie sulla politica gender e sui diritti civili. Una politica e una cultura woke non in sintonia con i fondamentali cattolici e riformisti. Non solo. La Schlein ha trovato nel segretario generale della Cgil il suo partner ideale, per cui ha spostato l’asse interno del Partito democratico sulla gauche gauche, scoprendolo a destra. Il che l’ha indebolito sul lato moderato. Su questo deficit sono venuti fuori i federatori, nel tentativo di colmarlo, e l’ultimo della serie è l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Enrico Maria Ruffini, la cui proposta politica fatta al convegno di Milano è stata la costituzione di una maggioranza «Ursula». Di là da questo, nello spazio di un mattino si è eclissata l’ipotesi federatore. Sennonché, per Franceschini bisogna allargare l’offerta elettorale, per cui «è utile un partito che parli di più ai moderati, che recuperi l’astensionismo di quell’area, che contenda i voti a Forza Italia».
Schlein ha potuto giocare a modo suo, avendo a suo favore la crescita elettorale, voti espropriati dal M5s. Manco per sogno il recupero di voti degli astenuti, piuttosto, piace giocare a rubamazzo a scapito dall’alleato, nella fattispecie il Movimento 5 stelle. Resta il fatto che la realtà del Pd non è delle migliori: frazionato nel suo interno e, oltretutto, non guida una opposizione unita. Non a caso, il leader 5s è sempre sul piede di guerra, non volendo essere fagocitato dalla segretaria del Pd. Ricordiamo i prossimi due appuntamenti clou: il referendum di primavera e le prossime elezioni regionali. Sul referendum sul Jobs act, il Pd landinizzato avrà un brutto risveglio, sulle elezioni regionali la partita fra Schlein e Conte è tutta da scrivere.