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Referendum sull’autonomia: il motivo del «no» nella sentenza di dicembre

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

Referendum sull’autonomia: il motivo del «no» nella sentenza di dicembre

Così come ha fatto quando a novembre ha accolto i rilievi delle Regioni del centrosinistra sull’Autonomia differenziata, anche lunedì la Corte costituzionale ha preannunciato il «no» ai referendum abrogativi attraverso un comunicato stampa

Mercoledì 22 Gennaio 2025, 13:00

Così come ha fatto quando a novembre ha accolto i rilievi delle Regioni del centrosinistra sull’Autonomia differenziata, anche lunedì la Corte costituzionale ha preannunciato il «no» ai referendum abrogativi attraverso un comunicato stampa. Un semplice annuncio consente solo interpretazioni sul ragionamento che ha portato i giudici delle leggi a ritenere inammissibile il referendum perché «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari»: eppure destra e sinistra, da due giorni, ritengono entrambe di aver vinto.

Il ragionamento è probabilmente più complesso di quello emerso nelle dichiarazioni politiche. Lo ha chiarito, tra i pochi, il costituzionalista Alfonso Celotto sulle colonne del «Giorno». È infatti ipotizzabile che la «poca chiarezza» del quesito denunciata nel comunicato della Consulta, che avrebbe potuto indurre i cittadini a esprimere - nei fatti - un voto sull’Autonomia differenziata nel suo complesso, sia figlia della precedente sentenza che ha cassato sette punti della legge Calderoli. Detto in altri termini: è possibile (ma bisognerà leggere le motivazioni) che secondo la Corte il quesito referendario applicato sulla legge mutilata dalla sentenza 192 si sarebbe trasformato in una consultazione tra chi è a favore e chi è contrario all’Autonomia differenziata così come prevista dall’articolo 116 della Costituzione che la contiene. Il che esula dall’istituto stesso del referendum: cambiare la Carta si può, ma è una competenza demandata al Parlamento e non certo a una consultazione popolare.

Il centrodestra equipara il «no» della Consulta a una bocciatura dell’iniziativa del centrosinistra a trazione Pd che ha raccolto le firme per il referendum. E ne capitalizza le conseguenze politiche: andare alle urne nelle condizioni descritte dalla Corte costituzionale significava mettere il Sud contro il Nord (o viceversa, secondo la prospettiva di ciascuno), danneggiando quei partiti della coalizione di governo che proprio nel Mezzogiorno pescano la gran parte dei propri consensi. A questo si somma il fatto che, secondo buona parte degli osservatori, pur essendo costretto a rimettere mano alla legge Calderoli (per «colmare i vuoti» aperti dalla sentenza 192) il governo può far ripartire la trattativa con le Regioni sul trasferimento di singole funzioni (non di intere materie) per le quali non è necessaria la previa individuazione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni).

Ma c’è uno scoglio non superabile e sul quale la maggioranza evita accuratamente di esprimersi. Ossia il nodo delle risorse. La Consulta ha ricordato che l’Autonomia non può funzionare sottraendo risorse alla generalità delle Regioni per attribuirle a chi otterrà la delega su determinate funzioni. Anche qui, il punto è non secondario e ha a che fare con la necessità di mantenere l’unitarietà dello Stato oltre che con il rispetto di quella clausola di invarianza finanziaria contenuta nella legge Calderoli e troppo presto dimenticata: chi vuole gestire da sé può farlo sempre ammesso che trovi i soldi.

A queste condizioni l’Autonomia non è quella ipotizzata da Calderoli. E nessuno naturalmente vieta che una riscrittura della legge in Parlamento sia nuovamente sottoposta all’identico fuoco di fila di ricorsi e di iniziative referendarie. Detto che negli ultimi 25 anni in Italia i referendum abrogativi hanno raggiunto il quorum una sola volta, al centrosinistra resta il risultato di aver paralizzato un iter che a quest’ora sarebbe probabilmente già in fase avanzata. E che su alcuni temi come scuola e sanità avrebbe davvero potuto allargare le differenze che già esistono tra le due Italie.

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