Sabato 06 Settembre 2025 | 11:33

Dall’Epifania con l’assalto nelle sale di Capitol Hill all’attesa dei doni di libertà

 
Carmen Lasorella

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Carmen Lasorella

Dall’Epifania con l’assalto nelle sale di Capitol Hill all’attesa dei doni di libertà

Il 15 gennaio la Corte d’Appello di Milano è chiamata ad esprimersi sugli arresti domiciliari per l’ingegnere iraniano diventato moneta di scambio degli ayatollah sulla pelle di Cecilia Sala

Lunedì 06 Gennaio 2025, 12:30

15:37

Epifania significa manifestazione, apparizione. È una parola che origina dal greco e nella nostra tradizione cristiana si esprime in quella stella cometa seguita dai Re Magi che li guida dal nuovo re. A dodici giorni esatti dalla nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, il 6 gennaio, tre uomini saggi, potenti e di età diverse - il giovane, l’adulto e l’anziano - con i loro doni: l’oro, il simbolo della regalità; l’incenso, l’espressione della purezza rivolta al divino e la mirra legata alla passione ovvero alla sofferenza che sublima la morte si prostrarono dinanzi alla speranza di un mondo nuovo che portasse la salvezza. Quella speranza era incarnata nella fragilità di un bambino, perché solo un bambino poteva rappresentare il valore della salvezza ovvero il principio di diventare forti, rispettando i deboli.

Principio comune alla religione e alla fede laica che difende i valori dell’umanità. Resta il desiderio di portare lo sguardo oltre, seguendo una cometa ovvero il sogno di strade nuove verso nuovi orizzonti. Quale è oggi la nostra Epifania? Chi scrive non trova una risposta, ma pone la necessità di cercarla, magari proprio nella giornata di oggi, 6 gennaio. Quattro anni fa, un uomo vestito da sciamano con corna di bisonte sul capo, a torso nudo con una pelle dello stesso animale che gli cingeva i fianchi e la faccia dipinta di bianco e di rosso si aggirava tronfio per le aule del Congresso americano. Alla testa di una folla rabbiosa e violenta aveva conquistato Capitol Hill, il tempio della più grande democrazia moderna. Neanche il cineasta più visionario sarebbe riuscito a immaginare una scena assurda come quella reale che le telecamere mostravano in presa diretta.

Nelle settimane precedenti l’assalto, il presidente Trump e i suoi sostenitori più radicali avevano incitato ad una protesta eclatante contro le elezioni «rubate» dai democratici, la frode, la big lie la grande bugia come la definivano, che aveva portato Biden alla presidenza degli Stati Uniti d’America. L’irruzione serviva ad impedire che il Congresso ratificasse quella nomina.

Ci fu morte, devastazione e tra i feriti, più grave, la ferita alla democrazia. Gli scalmanati furono arrestati, ma le polemiche non finirono. Negli Stati Uniti come nel resto del mondo. Venivano amplificate quotidianamente dalla narrazione dei social e dei siti complottisti. E proseguirono nonostante il rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta che aveva lavorato al caso per diciotto mesi, giungendo alla conclusione che Trump era stato «la causa principale degli eventi del 6 gennaio 2021». La storia che segue la conosciamo e tra due settimane Trump per la seconda volta sarà il presidente degli Stati Uniti, ancora più forte grazie al sodalizio con l’uomo del futuro Elon Musk , «mostro e genio» come è stato definito, che continua ad abusare delle narrazioni digitali, l’arma letale del nostro tempo.

L’Epifania americana è in sofferenza, dunque. Inoltre, il presidente uscente Biden, lascia l’incarico dopo aver firmato un’ultima trance di aiuti militari ad Israele per 8 miliardi di dollari, nonostante i suoi inutili appelli per la pace a Gaza e i crimini di guerra accertati, nel fiume di sangue palestinese che continua scorrere ogni giorno, cui si aggiunge l’indifferenza del governo di ultradestra di Netanyahu per la vita degli ostaggi del 7 ottobre 2023. Il volto terrorizzato della giovane Liri Albag, in un video che fa il giro del mondo proprio in queste ore, appena 19 anni, una degli ostaggi nelle mani di Hamas, fin qui ha solo ottenuto a Tel Aviv la repressione più dura delle proteste in piazza dei familiari.

Torniamo a Trump. È prossimo all’esordio del suo secondo mandato e considerati i precedenti, nonché la sua comprovata spregiudicatezza, l’inquietudine è palpabile, in tutto il mondo. In particolare in Europa. La premier italiana Giorgia Meloni, ha chiesto ed ottenuto di parlargli e lo ha raggiunto nella sua villa a Palm Beach in Florida. Un curioso segno di Epifania (la nota è sfuggita con il sorriso amaro).

Da 19 giorni, anche il nostro paese ha un problema di ostaggi. A differenza di Netanyahu però se n’è da subito occupato. Quale dono potrebbe portare Giorgia Meloni a Trump? Un dono politico – è da ritenere – considerato il personaggio e la sua linea. La premier che da poco ha portato a buon fine la presidenza italiana del G7 può porsi come interlocutrice privilegiata dell’Unione, che attraversa un momento di grande fragilità sul piano della politica comunitaria, nonchè dei governi nazionali che la esprimono, alle prese con problemi di consenso ed economici. Può giocare la carta della stabilità politica interna e del favore personale che continua a incamerare nei sondaggi, può ragionare di come rendere più forte l’asse Washington-Roma-Bruxelles in vista dei tavoli che si apriranno, si spera, sull’Ucraina, sulle risorse energetiche e sugli scambi internazionali. Con un uomo potente e senza scrupoli parlerà il suo linguaggio. Da donna pragmatica quale è, ragionerà di vantaggi e all’empatia è lasciato il resto. La richiesta di un atteggiamento almeno flessibile da parte americana per riportare a casa Cecilia Sala è nel conto, anzi, ha accelerato il viaggio, probabilmente senza il cappello in mano. Almeno la giustizia italiana non è ancora nelle mani del magnate americano, che nomina i suoi giudici.

L’ultima mano va giocata nel nostro Paese. Il prossimo 15 gennaio la Corte d’Appello di Milano, è chiamato ad esprimersi sugli arresti domiciliari per l’ingegnere iraniano, diventato moneta di scambio degli ayatollah sulla pelle di Cecilia Sala. Il suo rilascio sarebbe il dono di questa Epifania, poco importa se differito di qualche giorno. E sarebbe un altro dono la liberazione degli ostaggi israeliani con la fine della guerra, ma i doni sono tre e l’ultimo, la mirra, che lenisce la sofferenze delle piaghe, non può che riferirsi all’impegno di continuare a denunciare i soprusi compiuti sull’umanità più vulnerabile da un potere che si attribuisce l’impunità. Utopia? Guardando l’orizzonte, Eduardo Galeano rifletteva: l’utopia non serve a raggiungerlo, ma fa camminare. Proseguiamo il viaggio.

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