Sabato 06 Settembre 2025 | 23:19

Caro uomo politico del 2024 dacci anche oggi... il nostro insulto quotidiano

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Caro uomo politico del 2024 dacci anche oggi... il nostro insulto quotidiano

La voglia di partecipazione all'apice, solitudini e silenzi ridotti al minimo. Le scivolate e le gaffe c'erano ieri e ci sono oggi, ma la violenza attuale delle parole era un tempo inesistente.

Domenica 24 Novembre 2024, 13:00

Anzitutto la folla: fabbriche, piazze, università. La voglia di partecipazione all'apice, le solitudini e i silenzi ridotti al minimo. È banale dire che aver visto il film di Andrea Segre Berlinguer. La grande ambizione serve a capire come siamo diventati? Sì, probabilmente lo è, ma uno sforzo di riflessione a volte non fa male, anche raffrontando un film di cui si è parlato con ciò che ci circonda oggi, in questo novembre politico che sembra il mese crudele della villania. Il regista ha voluto concentrarsi sul momento del compromesso storico, con quegli sforzi messi in atto da Enrico Berlinguer (un ottimo Elio Germano) per staccarsi dal peso sovietico dittatoriale e per collegarsi invece alla Democrazia Cristiana: un progetto coraggioso, che incontra le resistenze di molti compagni e della stessa Dc, che sfida il potere russo e fa apparire questo piccolo-grande uomo arrivato dalla Sardegna a Roma come era e cioè un battagliero e allo stesso tempo pacato precursore, un politico con una... visione, parola divenuta oggi di gran moda e svuotata purtroppo di ogni significato.

Già, ma cosa ormai non si è svuotato in questi decenni?

È buio, piove. Uscire dal cinema e fare un giro delle news sui siti dei giornali è deprimente. Le figure attoriali serissime viste nel film, quei volti e quelle personalità di un tempo (ci sono tutti, da Moro a Ingrao!), restano nella mente mentre si scorre l'elenco delle offese politiche giornaliere. Dacci oggi la nostra ingiuria quotidiana. Ormai è una farsa continua, visto che i leader dialogano a colpi di post sui social, usano con ottimo effetto le «acidate» da leoni da tastiera e riescono a permeare l'universo politico di un senso che a volte è così ridicolo... da rendere più facile – o più difficile? - anche il lavoro di gente come Crozza.

Sì, è cambiato il linguaggio, il modo di guardarsi negli occhi e di stringersi le mani: siamo cambiati tutti, ma soprattutto i nostri politici che ora ci inebriano con un vocabolario dell'insolenza che entrerà forse (e purtroppo!) nei manuali prossimi venturi. Nel film vediamo i politici di quegli anni, dei diversi schieramenti. Sembrano un po' grigi. La frase che ripete la moglie di Berlinguer, tra una sigaretta e l'altra, quando lui è stanco, rientra tardi e rischia la vita è «Credevo di aver sposato un grigio funzionario di partito» e la figlia di Enrico nel film disegna davvero un papà tutto grigio... Un grigiore che si confronta con la luce negli occhi, con le idee, con quell'atteggiamento mai irruento che sembrano avere questi antenati dei nostri velocissimi attuali rappresentanti. Sullo schermo vediamo pochi telefoni - quelli grigi col disco rotondo - ma ascoltiamo molti discorsi ben fatti. C'è la polemica, non l'affronto. Forse più idee che stereotipi. Non vediamo, sempre nel film, battute gridate da voci istituzionali, non troviamo un ministro come il nostro dell'Istruzione Valditara, capace di presentare una Fondazione nata nel nome di una ragazza massacrata dal fidanzato (Giulia Cecchettin), affermando tesi razziste, per poi invece spiegare, smentire, precisare. Ed essere a sua volta difeso e poi ancora attaccato e offeso. Non vediamo un vicepremier come Salvini che si sveglia e invita il premier israeliano Netanyahu in Italia dandogli il «benvenuto» dopo il mandato d'arresto della Corte Penale Internazionale dell'Aia come criminale di guerra.

Certo, le scivolate e le gaffe c'erano ieri e ci sono oggi, ma è chiaro che la violenza attuale delle parole era un tempo inesistente. Spira aria di bullismo, vanno di moda i social (altro che invettive dantesche!) e a volte le «provocazioni» politiche nascono proprio per riempire quel vuoto inesorabile dei nostri tempi, che probabilmente non ha colore, è destra, è violenza, ma può essere a volte anche a sinistra, perché ciò che si è perso è quel culto dell'italiano, quella lingua delle idee e della sincerità di cui parlava il grande linguista Tullio De Mauro. Pagine che sembrano lontane mille anni e invece sono di qualche decennio fa e per chi voglia approfondire questa tesi c'è un bel libro pubblicato di recente da Laterza, Passione Civile, in cui sono stati raccolti alcuni testi del filosofo del linguaggio e in particolare ve ne è uno in cui si traccia il profilo della lingua della chiarezza, quella che «intende trasferire ai cittadini la passione e l'impegno per la politica». Quanta acqua sotto i ponti è passata da allora! Ponti, appunto. E poi quanto si pontifica, quanta inquietudine, quante risse tricolori, in un mondo in cui ad ogni elezione locale, regionale, europea, si finge di non notare che l'astensionismo è il partito vincente.

Ma il gusto dell'insulto è più forte. Mentre Putin, Biden e il resto del mondo si minacciano a colpi di missili, c'è chi si ferisce continuamente a colpi di parole, nel nostro piccolo condominio Italia che sembra sempre più un mini-mondo dagli orizzonti ridotti, dagli sguardi ristretti e bigotti. Le parole per fortuna non provocano, vittime come invece fanno i missili. Spesso queste parole violente sono veleno sprecato, perché sui politici più coriacei l'offesa fila liscia e diffonde solo energia utile al contrattacco. Peccato che a terra resti solo una vittima: la passione civile. Poverina, annaffiamola... appassisce.

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