Sabato 06 Settembre 2025 | 23:19

Dopo la sconfitta ligure il campo largo rilanci la grande sfida europea

 
Enzo Lavarra

Reporter:

Enzo Lavarra

Dopo la sconfitta ligure il campo largo rilanci la grande sfida europea

Il voto in Liguria ha riaperto nel centrosinistra il dibattito sul perimetro delle alleanze. Se già alla vigilia i sondaggi indicavano una gara sul filo di lana, nondimeno si confidava nell’effetto «scandali», che avevano travolto la destra e defenestrato Toti e la sua Giunta

Martedì 05 Novembre 2024, 13:27

Il voto in Liguria ha riaperto nel centrosinistra il dibattito sul perimetro delle alleanze. Se già alla vigilia i sondaggi indicavano una gara sul filo di lana , nondimeno si confidava nell’effetto «scandali», che avevano travolto la destra e defenestrato Toti e la sua Giunta . Ma a rendere bruciante la sconfitta è che, ciò nonostante, il candidato Bucci ha vinto sia pure di misura.

La sconfitta non poteva non avere un rilievo nazionale; sia il mondo politico che i commentatori si sono soffermati, da diversi versanti, su due punti. Alla destra del «campo largo» dicono: la vittoria è mancata per il veto di Conte su Renzi. Affermano, d’altro canto, nel centrodestra: la politica non si afferma sulla via giudiziaria. Tralasciamo la tesi di destra. E concentriamoci sul primo punto. Il perimetro dell’alleanza. Orlando ha ammesso che la mancata alleanza con l’IV di Renzi , che si proponeva di rivestirsi con l’abito del civismo come in Umbria, è stato errore esiziale. E credo che questo sia stato fattore che ha avuto il suo peso. Difficile sostenere che questa la partecipazione dei renziani, anche senza simbolo, avrebbe fatto perdere maggiori consensi, come nella tesi di Conte.

Invece nel voto c’è da valutare un altro elemento: nonostante Orlando e la sua lista abbiano portato consensi non trascurabili, quando in un territorio la contesa è all’ultimo voto le candidature devono essere riconosciute come «carne e sangue» dei territori. E Orlando a Roma lontano dal territorio non lo ha fatto percepire in quella cifra.

Comunque sia, dalla Liguria giunge ennesimo allarme per le prossime Regionali e per la costruzione di una coalizione credibile contro la destra . Ma non sembra che dalla prime battute l’allarme sia stato colto. Cominciamo da Schelin. Il suo obbiettivo - dice in una intervista a un giornale nazionale - è portare il Pd ad essere in modo consolidato il primo partito in Italia. Sopra FdI. Ma questo non è un programma. Anche se aggiunge un elenco di punti programmatici come sanità universale, lotta alla evasione fiscale e alla precarietà del lavoro, battaglia contro l’Autonomia differenziata e per il clima. E non v’è dubbio che tali punti possono essere il banco di prova di un confronto non più rinviabile con tutte le forze dell’attuale opposizione. Il confronto è strada obbligata. E se si sceglie questo discrimine allora deve conseguire che è di un’altra fase, alle spalle la politica del veto. Così per quanto riguarda il famoso centro, meglio dire area liberal-democratica, se appare usurato il ruolo di Renzi, né Calenda si mostra in migliori condizioni, su quel versante si affacciano personalità di primo piano da chiamare in campo come il sindaco di Milano.

Così sul lato dei 5 Stelle gli anatemi dei renziani rimasti nel Pd non colgono che quel partito ,o movimento che sia, è in piena crisi e deve scegliere: tornare ad essere la forza antisistema degli esordi; contro tutti e all’occasione equidistante da destra e sinistra . Nella scia dell’eventuale vittoria di Trump e del populismo europeo. O collocarsi stabilmente nell’area progressista . Si può essere disinteressati all’esito dell’Assemblea dei 5 Stelle ? Sarebbe rinunciare a far politica .

Detto questo, il dibattito agisce in un vuoto che è ben più determinante e strutturale. L’astensionismo. Che in Liguria ha toccato il 56 %. Di questo si discute nei talk show . Qualche volta si consultano le indagine demoscopiche che rivelano come nella stragrande maggioranza gli astenuti sono mondo operaio e ceti meno abbienti . Nulla di più. Il radar delle forze di centrosinistra rimane fisso sugli spostamenti delle cifre che determina chi va a votare. Una minoranza. Mentre la maggioranza degli astenuti semplicemente non crede più in nulla. E questa disillusione riguarda la democrazia. Nel suo linguaggio di recente Bersani dice più o me o meno così: «Attenzione, dalla democrazia la gente si aspetta la merce, e se la merce non gli arriva c’è il rischio di ogni avventura».

Per «merce» Bersani intende: fruire tutti di scuola e sanità pubbliche, di salari dignitosi (siamo all’ultimo posto in Europa), di contratti regolari e non di lavoro nero; o di finti lavori autonomi in realtà sottomessi ai regimi neoschiavistici delle piattaforme e ai licenziamenti via algoritmi. E solo se su alcuni di questi temi si riuscisse a convergere per comuni proposte legislative, neanche questo basta a immergersi in quel vuoto. Si deve tornare, oltre i social, nei luoghi fisici del disagio e nelle periferie sociali. E alzare lo sguardo al mondo.

Sapere che siamo in una nuova fase. Che la competizione infraeuropea o mondiale ci espone al declino . Tale competizione è asimmetrica. Intanto nella Unione europea: i salari nell’est europeo sono fra 300 e 500 euro mensili. La tassazione fiscale per le imprese all’est è di soglia bassissima e incentiva delocalizzazioni . Quelle produzioni arrivano da noi spiazzando le nostre imprese medio piccole e creando dumping e licenziamenti. Nuove regole dello stare insieme in Europa sono dunque necessarie .Ma nuove regole sono possibili in una Europa a 27 oggi e a 33 Paesi domani? Con l’obbligo della unanimità per ogni decisione? Da qui nasce la crisi della fiducia nella Europa e il ripiegamento nel sovranismo. La risposta non può più essere nel sogno federalista .

Ma in una rivalutazione del ruolo degli Stati nazionali e nella applicazione della Cooperazione rafforzata prevista dai Trattati. Come per l’Euro. Come Paese fondatore è il momento storico di proporre di mettere in comune le politiche fiscali, di protezione sociale, di difesa comune; di tutela ecologica mente la destra vuole smontare il Green deal e succede Valencia. I primi interlocutori sono proprio i Paesi mediterranei che su surriscaldamento del Mare nostrum e sulle immigrazioni hanno la stesse necessità: mettere in comune risorse per questi scopi. Nessun Paese da solo regge la sfida internazionale. Non c’è altra strada. C’è traccia di questa prospettiva nel «campo largo», pur dopo l’ennesima sconfitta?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)