Qualche mese fa il Governo italiano ha trionfalmente annunciato che nell’ambito della riforma del sistema tributario stava mettendo mano anche alla riscossione.
Infatti sarebbe stato incoerente non reagire al «dito nell’occhio» messo dalla Corte dei Conti che ad inizio luglio aveva denunciato che la cifra record di 1.200 miliardi di crediti erariali dichiarati di difficile esazione dall’Agenzia della Riscossione, ex Equitalia, praticamente pari al 40% del PIL e al 35% del debito pubblico, sarebbe stata recuperabile - nella migliore delle ipotesi - per soli 100 miliardi. In sostanza, oltre 1.100 miliardi dovevano essere considerati inesigibili. E stando a quanto affermato dal Ministro Giorgetti qualche giorno fa anche i Comuni non se la passano meglio con circa 85 miliardi di crediti inesigibili computati fra i residui attivi nei loro bilanci svalutati con relativi fondi per soli 35 miliardi; in pratica altri 50 miliardi di crediti fuffa.
Un’impresa privata che avesse nel proprio bilancio crediti fasulli, pari al 40% del proprio fatturato, sarebbe valutata in default a meno che non facesse margini ricchissimi. Purtroppo, questa seconda ipotesi non è il caso dell’impresa Italia il cui problema è proprio quello di essere concentrata su fatturati a basso valore aggiunto; quindi poveri. Quindi non ci resta che la prima ipotesi. Il problema è serio; non ci resta che piangere, avrebbero detto Benigni e Troisi.
Nonostante tutto con il proprio proverbiale interventismo il Governo è andato avanti come un treno, come già successo per l’affaire extraprofitti bancari di agosto 2023, nel nome di una necessità di far pulizia della polvere accumulata sotto il tappeto dai governi precedenti. Si è ovviamente iniziato anche a paventare, non fa mai male per raccogliere facile consenso elettorale, una ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali per cercare di rendere il lavoro di raccolta più veloce, facile e proficuo.
Preso atto dell’inefficienza per tabulas della riscossione pubblica si sono immaginate 3 alternative in un disegno di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 luglio. La prima, perseverare con il riaffidamento della riscossione all’Agenzia della Riscossione per altri 2 anni; la seconda, fare tutto in casa e non si capisce cosa potrebbe essere cambiato nelle strategie dell’Ente creditore dal primo affidamento in un clima di riduzione progressiva degli organici; la terza, passare la palla ai privati generalmente per DNA più efficaci della Pubblica Amministrazione in questo settore come dimostrano le percentuali di recupero dei tributi locali in quei pochi Comuni in cui si delega loro la riscossione. Qualche operatore si spinge anche più in là rendendosi disponibile ad acquistare gli stessi crediti inesigibili dei Comuni in forza di una legge di oltre 20 anni fa quasi mai attuata, salvo rare eccezioni.
Nella terza ipotesi il disegno di decreto legislativo prevedeva due alternative : affidare semplicemente il servizio di riscossione con gare ai servicer iscritti in apposito albo tenuto dal MEF oppure cedere interi pacchetti di crediti, a soggetti privati e a titolo oneroso, con gara pubblica nell’ambito di cartolarizzazioni. In pratica come ha fatto negli ultimi anni il sistema bancario per smaltire tutti i crediti in default, i NPL (acronimo inglese di Non Performing Loan - finanziamenti deteriorati definiti sofferenze bancarie), anche con l’aiuto della garanzia pubblica delle cc.dd. Gacs (Fondo di garanzia concessa dal Mef sulle cartolarizzazioni delle sofferenze bancarie). La differenza sostanziale è che i bilanci bancari in genere, con le dovute eccezioni, sono evidentemente più solidi di quello dell’impresa Italia.
Evidentemente sì, se si è dovuta immediatamente ingranare la retromarcia sull’ipotesi cartolarizzazioni. E come già accaduto in passato il «consiglio» è arrivato ai tecnici del Mef da Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea. Dal Lussemburgo i tecnici hanno fatto sommessamente notare che in caso di cessione dei crediti inesigibili a titolo oneroso ad un veicolo di cartolarizzazione, gli stessi crediti devono necessariamente essere valutati da un valutatore indipendente che ne deve attestare il vero valore.
E questo valutatore non avrebbe potuto più nascondere la «polvere sotto il tappeto» facendo inevitabilmente emergere il buco di almeno 1.100 miliardi. A questo punto addio manie di pulizia; retromarcia immediata e disegno di decreto legislativo prontamente ritirato dando, ancora una volta, sensazione di approssimazione nella soluzione di importanti problemi.
Ora non ci resta che sperare che le gare permettano di passare la palla ai servicer privati che potranno gestire la riscossione in modo più performante dell’Agenzia della Riscossione. Solo così potremo sperare, forse, di fare vera pulizia nel bilancio dello Stato e di ridurre drasticamente la quota di evasione dei furbetti del quartierino a danno di tutti noi.