Sabato 06 Settembre 2025 | 18:37

Sulle liste d’attesa arriva il decreto e resta il problema

 
Antonio Perruggini

Reporter:

Antonio Perruggini

Bari, una proposta di legge per abbattere le liste di attesa

La solita scusa o l’alibi del pubblico e della politica interessata al consenso è che manca il personale quando invece una soluzione ci sarebbe anche alla luce delle nuove disposizioni che assicurano l’aumento delle piante organiche e quindi l’assunzione di nuovi giovani medici

Sabato 27 Luglio 2024, 13:25

Con l'approvazione della nuova Legge nazionale sulle liste di attesa sorgono ragionevoli riflessioni. In sintesi il Parlamento ha approvato quello che gli imprenditori della sanità privata convenzionata di tutta Italia (all’epoca liberali e poi transitati alla corte delle maggioranze dei governi regionali di turno) hanno fatto da sempre dopo l’entrata in vigore della legge 833/78 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) che in sintesi, tra le varie previsioni di riforma, diceva: tu pubblico quando non sei in grado di assicurare le prestazioni al cittadino lo stesso può farle presso il privato convenzionato.

Come si ricorderà il privato convenzionato, oggi accreditato, che riusciva (e riesce) a assicurare milioni di prestazioni sanitarie all’anno e ottime retribuzioni ai medici (che non scappavano all’estero!), fu spesso demonizzato in virtù di una tesi contrapposta sostenuta dai partiti di sinistra che in sintesi diceva: è il pubblico che deve assicurare le prestazioni senza essere condizionato dal privato per non farle e favorendo quindi la crescita del privato stesso e di sistemi clientelari finalizzati al consenso e al finanziamento della politica, con oggettivo pericolo di fenomeni corruttivi.

Ma nonostante questa storica diatriba tra ideologie contrapposte, da molti anni il ricorso al privato accreditato è divenuta la regola ben favorita da tutti i partiti anche se ieri l’on. Schlein ha alzato le barricate contro la riforma voluta dal prof. Schillaci ma dimenticando solo per un attimo che ovunque, comprese le regioni dove la sinistra governa (Emila Romagna, Puglia, Toscana, Campania, ecc) la presenza della sanità privata accreditata è stata sostenuta da decenni ed è vitale per la tenuta del servizio sanitario e delle relazioni politiche sui territori. Quando entrò in vigore la «833» del ‘78 non esisteva «l’intramoenia» e «l’extramoenia», cioè o lavoravi nel pubblico o nel privato. Vi era solo la possibilità, rimasta in vigore, di locare le sale operatorie per i consulenti medici che assicuravano prestazioni totalmente private ai loro pazienti ovvero senza che né la clinica privata né il paziente ottenesse alcun rimborso dal servizio sanitario nazionale.

Sono passati 46 anni da quella legge e sembra che poco sia cambiato. I medici oggi possono pure scegliere tra intramoenia e extramoenia (due possibilità che andrebbero eliminate anche perché c’è da chiedersi perché in extra e intra un cittadino riesce a ottenere la prestazione che potrebbe ottenere ugualmente se quel lavoro fosse “straordinario” o “supplementare”?) e il cittadino viene assistito in una struttura (ambulatoriale o residenziale) accreditata con il SSN quando il servizio pubblico non è in grado di assicurare la prestazione, anzi lo fa il pubblico stesso direttamente che di fronte alla richiesta ti dice pure, per Legge, in quale clinica o poliambulatorio accreditato puoi andare.

La solita scusa o l’alibi del pubblico e della politica interessata al consenso è che manca il personale quando invece una soluzione ci sarebbe anche alla luce delle nuove disposizioni che assicurano l’aumento delle piante organiche e quindi l’assunzione di nuovi giovani medici. Occorre innanzitutto eliminare il numero chiuso dalle facoltà di Medicina, eliminare la possibilità di “extramoenia” e “intramoenia” ordinando ai medici e agli infermieri di fare straordinario se serve, incentivare le retribuzioni e innalzare l’età pensionabile a 80 anni offrendo al tempo stesso ai medici e agli infermieri già in quiescenza un incentivo alla pensione totalmente defiscalizzato o uguale alla “flat tax” del 15% approvata dal Parlamento l’altro giorno. Tali soluzioni forse non risolverebbero in toto il problema ma sicuramente lo ridurrebbero drasticamente.

La possibilità di continuare a usufruire delle prestazioni da parte di medici e infermieri in quiescenza per esempio non avviene perché naturalmente oggi chi è in pensione è obbligato a adeguarsi alla cosiddetta “gestione separata” che significa dichiarare allo Stato gli ulteriori redditi oltre la pensione e pagare ulteriori tasse decisamente sconvenienti per il professionista perché vanno a incidere sull’aumento del reddito e quindi sulla imposizione fiscale.

Allora perché non consentire quanto si propone sopra? È tutto legale, è tutto fattibile, ora ci sono anche le risorse e davvero c’è da chiedersi se la soluzione è farsi sostituire dal privato o farlo essere davvero complementare incentivando invece il servizio pubblico e soprattutto medici e infermieri che prendono stipendi decisamente inferiori a quelli dei loro colleghi stranieri o di coloro che lavorano nel privato.

Quindi come vediamo è passato quasi mezzo secolo dalla 833/78 ma è cambiato poco.

Contavano e contano i voti, le lobbies e poco la capacità di immaginare un sistema virtuoso che sappia in armonia contenere la spesa, controllare la sua destinazione e premiare chi si impegna con competenza per una sanità migliore. Non è solo prevedendo nuovi fondi o tenendo aperti gli ambulatori nel week end che si risolve il problema se non cambia la cultura e l’organizzazione del sistema. Non è facile è vero, ma è l’unica strada. In definitiva per parafrasare un detto comune possiamo dire riferendoci a questa riforma che «l’intervento è andato bene ma il paziente non sappiamo se sopravvive».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)