Si fa tanto parlare dei viaggi della speranza verso nord a cui si sottopongono i malati meridionali e dei costi improduttivi che essi rappresentano per il sistema sanitario meridionale. Come i trasferimenti dei nostri figli che emigrano e portano fuori dei nostri territori gli investimenti in capitale umano che tutti noi abbiamo fatto.
E dalli a dire che è solo frutto del nostro amore per il forestiero e che invece la nostra sanità di casa è ormai cresciuta e che tali viaggi non dovrebbero essere ammessi o perlomeno disincentivati.
La verità è che la salute è un diritto costituzionalmente tutelato all’art.32 e non si può far leva sul povero malato per far quadrare i conti pubblici scassati. Non è corretto; anzi è eticamente inaccettabile, specie in un periodo come questo in cui si fa tanto parlare di livelli essenziali di assistenza e di autonomia differenziata, avere un Servizio Sanitario Nazionale a macchia di leopardo. Siamo tutti italiani appartenenti ad un’unica nazione oppure vogliamo convincerci che è normale e giusto che ci siano cittadini di serie A e di serie B? Il cittadino malato ha diritto ad avere lo stesso standard di cure dal sistema sanitario nazionale creato nel 1978 con principi di universalità, uguaglianza ed equità; a qualsiasi latitudine esso viva, nord, centro o sud.
E ora torniamo all’esperienza dell’utente «cittadino comune» costretto a risolvere i problemi sulla propria pelle senza voler ricorrere al solito «mi manda Picone» per percorrere una scorciatoia. Lo specialista, pagato ovviamente con le proprie tasche per non voler attendere almeno sei mesi, ha appena rivelato un problema sottovalutato o addirittura ignorato in un precedente esame dalla struttura pubblica locale. Dopo brevissimo vaglio in sede locale il cittadino comune decide di rivolgersi a «quelli di su»; che poi nello specifico sono di Roma, Policlinico Gemelli, non proprio di «sopra sopra» oltre il Rubicone.
E già al primo approccio resta basito: appena inserita la propria prenotazione nel sistema informatico l’utente viene inondato da mail di conferma e messaggi WhatsApp che tendono ad assicurare la sua presenza entro una settimana. Non è un errore di stampa; solo sette giorni. Incredulo si presenta puntuale alla visita programmata con ovvio anticipo di due ore, centottanta minuti, considerato il proprio bagaglio di esperienze con i vari CUP del Sud.
Le meraviglie non finiscono: in un ambiente degno della reception di un albergo, il numerino appena preso indica solo due posti da attendere per pagare la visita. Poco male, pensavo peggio. Aspettiamo, tanto siamo anche in anticipo.
Si avvicina una signorina in divisa stile hostess Alitalia di una volta che comunica all’utente che se vuole pagare con carta di credito non è necessario nemmeno attendere e lo accompagna al terminale per effettuare l’operazione di accettazione. In 2 minuti ha finito e ringrazia incredulo. Ora bisogna attendere solo 118 minuti.
Decide quindi di andare a prendersi un panino ad un «bar vero» posto all’interno in cui regna educazione, cortesia e pulizia a prezzi normali. Insomma un bar come quelli che tutti noi andiamo cercando nella nostra vita comune e che non ci sogniamo nemmeno di poterlo pretendere in una struttura sanitaria pubblica del Sud.
Mangiato il panino, per l’attesa sale al primo piano. È già pronto a stare in piedi appoggiato al muro in ambienti poco o male condizionati in una giornata dal caldo torrido; e invece ecco una vera sala d’attesa con poltrone imbottite in ambiente condizionato e appena sanificato dopo il turno mattutino. Ovviamente regna il silenzio.
Cose da matti! E questi sono italiani come noi? In queste condizioni si può attendere tutta una vita. In effetti non è tutto oro ciò che luccica; ecco dove casca l’asino. Lo specialista, che si era voluto premurare personalmente di avvisare qualche giorno prima via cellulare l’utente che venerdì avrebbe potuto avere qualche problema di puntualità a causa di un sopraggiunto impegno di lavoro, effettivamente tarda ad arrivare.
Dopo mezz’ora l’addetta della reception interrogata sulle cause del ritardo, verifica immediatamente e, in italiano corretto e senza sbuffare, assicura che il dottore sta arrivando e che non c’è da preoccuparsi; ovviamente scusandosi.
L’utente si scusa a sua volta per aver alzato il livello delle proprie aspettative; ma si sa, l’uomo è un animale d’abitudine che al bello si abitua velocemente. Finalmente con un ritardo di 45 minuti arriva il dottore; la visita dura 15 minuti per rassicurare l’utente sul referto di cui 10 spesi per aggiornare il sistema informatico e prenotare l’intervento entro e non oltre 30 giorni, altrimenti la direzione sanitaria infligge una multa.
Ma come? Dovete per forza fare l’intervento entro 30 giorni? Con agosto di mezzo? Ma allora era meglio rivolgersi a qualche struttura pubblica del Sud, almeno le vacanze erano tutelate! Va bene, correremo il rischio di risolvere tutta la faccenda in un solo mese.
Ringraziato e salutato il medico, nemmeno il tempo di uscire dalla struttura sanitaria, ecco che arriva la fattura on line della prestazione. Ora l’utente è preoccupato perché durante il weekend non è ancora arrivata la conferma della data dell’intervento; non vorrebbe dover aspettare 31 giorni… vi terremo aggiornati.