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Federare gli atenei statali: idea giusta rimasta nei cassetti mentre ora arrivano i tagli

 
Stefano Bronzini

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Stefano Bronzini

Federare gli atenei statali: idea giusta rimasta nei cassetti mentre ora arrivano i tagli

Forse sarebbe stato opportuno ragionare su quell’idea. Non per essere i primi, ma per definire indirizzi e regole

Giovedì 18 Luglio 2024, 13:05

In una breve visita barese a giugno Anna Maria Bernini, la Ministra della Università e della Ricerca, aveva detto parole importanti per il futuro del sistema universitario statale. La proposta: federare gli Atenei statali per varare un responsabile e sostenibile sviluppo degli investimenti nella formazione e ricerca. Simili e non uguali considerazioni, sottovalutate o irrise, erano state formulate tre anni fa in Puglia. Forse sarebbe stato opportuno ragionare su quell’idea. Non per essere i primi, ma per definire indirizzi e regole. Insomma il foglio bianco lo dovevamo redigere noi. Se avessimo lavorato su quella suggestione senza pregiudizi, adesso potremmo affrontare diversamente le difficoltà. Inutile negarlo. Chi denigrò la proposta prima di parlare avrebbe dovuto studiare norme e bilanci degli Atenei statali. Non solo pugliesi. È un errore imperdonabile parlare senza conoscere.

A giugno la Ministra, dunque, aveva lanciato un inequivocabile segnale e a lei deve essere riconosciuto, anche se elegantemente in forma di auspicio, il merito di aver posto la questione. Che fosse necessario uscire dal modello di fine Novecento, un Ateneo per campanile, per definire una ipotesi progettuale adeguata alle sfide del nuovo millennio, era più che evidente.

Dispiace, quindi, il non aver voluto approfondire le potenzialità del federalismo universitario e dispiace ancor più rammentare gli argomenti utilizzati per non discuterne. Invero non tutti furono contrari. Sia il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, sia l’assessore Sebastiano Leo, pur nel rispetto dell’autonomia universitaria, mostrarono interesse al progetto. L’idea si arenò in ogni caso scivolando nell’oblio.

La federazione degli Atenei statali con uno sviluppo per poli nella Regione, invece, avrebbe potuto risultare un modello più sostenibile e avrebbe potuto porre un argine all’imbarazzante deriva del «patto costituzionale» tra Stato e cittadini. Questa era ed è la posta in palio. È bene ricordarlo ai fautori del «tutto resti come prima» e anche ai presunti innovatori pronti ad affidare la formazione e la ricerca ai privati.

Oggi, infatti, incombe una manovra finanziaria sul sistema nazionale universitario statale che prevede un taglio di 173 milioni. Leggendo la proposta di decreto con attenzione si comprende che siano molti, ma molti di più i milioni che svaniscono tra le pieghe delle specifiche voci del finanziamento. Oltre settecento milioni. Consultando la proposta di decreto, infatti, è evidente che le crepe stiano per diventare voragini.

Non a caso in una intervista rilasciata a La Stampa il 13 luglio sempre la Ministra, spaziando dalla irrinunciabile scelta per il Paese in favore del nucleare(?) al maggiore coinvolgimento delle donne in ambito scientifico e estendendo lo sguardo all’Africa, ai necessari investimenti tecnologici, intelligenza artificiale e quantum computing, alla difesa della pace, e ad altre questioni strategiche per il Paese, si produce in un gioco di prestigio. Rispondendo alla domanda sul sotto finanziamento del sistema universitario statale, sancito dalla proposta di decreto da lei definita una “indiscrezione”, e dopo aver ricordato agli Atenei italiani d’aver ‘aver partecipato ai bandi’ PNRR, quasi che fossero una fonte strutturale dei loro bilanci e non un piano straordinario per l’intero Paese, dichiara che “non è una questione di soldi, ma di governance e di capacità di spesa”.

Avrebbe ragione se scoprissimo che la proposta di decreto, in discussione il 18 luglio alla conferenza dei Rettori, inviata proprio dal dicastero della Ministra, è solo una ‘indiscrezione’, appunto un magnifico scherzo. Un plauso se fosse così. Che il documento del Ministero sia, però, un estivo pesce d’aprile è improbabile. In una intervista dove si parla di tutto, proprio di tutto, essere generici e silenti sul taglio del finanziamento a me sembra che testimoni piuttosto una personale difficoltà proprio della Ministra. Quel silenzio non è omissivo, ma rivela un evidente disagio per aver dovuto accettare, forse subire(?), una decurtazione così consistente per il 2 finanziamento universitario statale. La riduzione, infatti, rischia di mettere in ginocchio moltissimi Atenei del nostro Paese. La Ministra lo sa bene.

A proferire il famoso “Al mio segnale scatenate l’inferno”, infatti, non deve essere stata la Ministra. Le parole proferite in giugno a Bari erano accostabili a quelle del comandante della Guardia Pretoria, Quinto. È lui che nella celebre pellicola, rivolgendosi a Massimo Decimo Meridio, comandante delle legioni Felix, e osservando l’ostinazione dei Marcomanni, più che mai decisi a combattere oltre ogni evidente speranza di vittoria, afferma: “Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto”. La pronta replica dell’amatissimo Massimo è malinconica e arresa: “Tu lo capiresti, Quinto? io lo capirei?” Loro non potevano comprenderlo. Sono soldati romani; per loro la pugna e l’obbedienza sono tutto. Il loro motto, dopotutto, è “forza e onore”. Che si sappia: nel finale della pellicola a Quinto, però, è affidato un onorevole compito. È in quel “liberate i prigionieri” il suo riscatto. Dopo alterne vicende, infatti, è lui che rende tutti gli uomini di Massimo, il Gladiatore, cittadini liberi. Solo allora quei prigionieri, dismessi i panni dei gladiatori, possono passare alla Storia per essersi tutti insieme ribellati. Anche il comandante Quinto si iscrive nella Storia per aver scelto da che parte stare.

Più grave, ammettiamolo però, è che nel nuovo millennio non lo abbia compreso per tempo il sistema universitario statale persino dopo la sollecitazione, quasi una iterata richiesta di aiuto, della stessa Ministra.

Oggi è evidente: il fatidico “al mio segnale scatenate l’inferno” è stato proferito ben oltre i confini nazionali, persino europei, forse oltre gli stessi governi e ministri. A questi ultimi possiamo accreditare la colpa di essere silenti. Non è mai troppo tardi! Se così fosse, dopotutto, sarebbe molto apprezzato dirlo chiaramente e anche chiedere scusa perché il cambio delle regole durante lo svolgimento di una partita è veramente poco elegante.

Una considerazione: la formazione e la ricerca statale, al pari della sanità, scivolando lentamente e inesorabilmente fuori dal dettato costituzionale, possono generare profitti senza uguali per investitori e multinazionali. Anche se “non è una questione di soldi, ma di governance e di capacità di spesa”, lo chiamerei investimento, sappiamo che il nostro Paese è in vendita al miglior acquirente! Ora sono in vendita persino i gioielli di famiglia.

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