Ce l’abbiamo fatta e ci voleva un ex magistrato e un avvocato al ministero di via Arenula per dare l’abbrivio alla riforma della giustizia. Quello che aveva promesso all’atto del suo insediamento al ministero della Giustizia, Carlo Nordio, ha mantenuto. Senza nulla togliere a Carlo Nordio, ha al suo fianco il vice ministro, Paolo Sisto, cui è stato dato mandato dal suo partito, Forza Italia, di portare in porto, intanto, l’abolizione del reato di abuso di ufficio, in seguito il completamento della riforma con la separazione delle carriere. Nella divisione del lavoro all’interno della maggioranza di governo, FI ha imposto l’approvazione della riforma della giustizia, FdI ha richiesto il premierato e alla Lega l’autonomia differenziata, già legge. Questa è un’altra storia. Abrogazione dell’abuso d’ufficio, nello specifico viene abolita la norma del Cp art.323 che punisce colui il quale riveste il ruolo di pubblico ufficiale, la cui violazione, in modo consapevole, delle leggi, regolamenti o l’obbligo di astensione, causa un danno ad altri o si procura un vantaggio patrimoniale. Epperò, hanno introdotto il peculato per distrazione, per dare copertura penale agli abusi in atti d’ufficio a contenuto patrimoniale.
Non è tutto oro, quindi, quello che luccica, tuttavia, attraverso la riforma dovrebbe la giustizia rientrare nel suo alveo naturale e alcune interpretazioni giurisprudenziali, dovrebbero essere riviste. Non ci possono essere più scuole di pensiero giuridico. A tal riguardo, è il caso del presidente della Liguria, Giovanni Toti, agli arresti domiciliari, il cui avvocato ha interpellato Sabino Cassese che ha chiarito che va assicurata la continuità dell’azione amministrativa, ma il Tribunale del riesame ha rigettato la revoca degli arresti. Con la riforma sulla custodia cautelare, Toti non starebbe ai domiciliari, la custodia cautelare divente una misura di estremo rimedio, anticipato da un interrogatorio anticipato, con la presenza di un giudice collegiale, che deciderà il provvedimento carcerario.
Per non parlare dell’annoso e incredibile caso di Gabriele Elia, già assessore al Comune di Cellino San Marco - Br- da dieci anni sotto processo, una sorta di calvario, per una fantasiosa corruzione di mille euro. Come se fosse un boss della Sacra corona unita fu arrestato, all’alba, con un incredibile spiegamento di forze dell’ordine con ausilio di elicotteri. Assurdo, senza alcune prove a sostegno della richiesta di una spropositata condanna di sei anni e sei mesi in primo e secondo grado e chi lo condannò sempre il medesimo pm che, ironia della vita, fa parte della sezione della Cassazione che dovrà giudicarlo. Basta e avanza.
La riforma ha superato il guado e non era facile visto il fuoco di sbarramento massiccio, proveniente da diversi postazioni dal mondo politico, giudiziario e della informazione. Il Ddl diventa legge, votato dalla maggioranza di centrodestra e il conseguente voto dei garantisti per eccellenza: Azione, Italia Viva e + Europa. La nuova legge svuota pure il traffico di influenza illecite. I sindaci e gli amministratori, d’ora in poi , possono gestire la cosa pubblica con più efficienza salvaguardando la trasparenza e nel rispetto delle leggi soprattutto. Dire che l’abrogazione dell’ abuso d’ufficio è un regalo ai «colletti bianchi» è un modo come un altro per dire che si approvano delle leggi a favore di qualcuno a discapito della giustizia. Gli alti lai dei procuratori e non solo lasciano il tempo che trovano e alcuni di questi hanno l’ardire di dichiarare che sarà sempre più difficile indagare sui «colletti bianchi» e la pubblica amministrazione. C’è sempre per loro qualcuno nel mirino: ora in modo dispregiativo i «colletti bianchi», come, a suo tempo, per i padroni c’erano le «tute blu», ossia gli operai. I numeri parlano chiaro su 5000 procedimenti per l’abuso di ufficio stringi stringi si è arrivati a 7 condanne. L’indagato, il «famigerato colletto bianco» per quanti anni ha vissuto sotto la spada di Damocle della pubblica gogna per poi essere assolto definitivamente, avendo come contropartita o il silenzio più assoluto o delle righe contate sulla stampa, senza alcuna scusa, dedicate alla sua incolpevolezza. C’è chi dice che la lotta per l’abrogazione dell’abuso di ufficio «iniziò tutto con Tangentopoli», il cuore del cuore era, nella fattispecie, il finanziamento illegale dei partiti, il cui reato era molte volte evanescente, per cui , via via, fu cambiato più punitivo, in alcuni casi, a corruzione, in altri, a concussione. A conti fatti, su 4500 indagati sono stati 1200 imputati condannati.
Troppe ne abbiamo viste per non criticare alcuni settori della magistratura e questo non dovrebbe avvenire in un paese in cui lo Stato di diritto «esige che ogni persona goda di pari protezione ai sensi della legge e impedisce l’uso arbitrario del potere da parte dei governi. Garantisce la tutela e il rispetto dei diritti politici e civili di base, nonché delle libertà». Troppe inchieste ne abbiamo viste, per l’uso e il consumo dei mezzi di informazione, dove il malcapitato viene sbattuto come un mostro in prima pagina, per dirla col titolo del film di Marco Bellocchio. Sennonché, la riforma sulle intercettazioni ha espresso, inaspettatamente, una svolta più garantista. Visto che l’Articolo 2 della norma interviene sia sulle modalità di acquisizione che sulla fase della pubblicazione. Attraverso intercettazioni notoriamente provocate con la pesca a strascico incappano onesti e disonesti, malacarne e galantuomini e raccolgono tutto e il contrario di tutto, frasi sensate e quelle insensate, espressioni volgari e pettegolezzi di tutti generi. Il bello è che tutto viene pubblicato sui mezzi di informazione. Da ora in poi, c’è un’aspetto molto positivo della riforma che cancella l’andazzo de passato di malagiustizia e di cattivo giornalismo, vale a dire l’approvazione di alcune norme che riducono abbastanza la possibilità per i giornalisti di pubblicare col copia-incolla tutte le carte che «sputtanano» gli indagati e «sputtanano» anche moltissime persone che non c’entrano nulla, ossia il cosiddetto terzo, non essendo imputato, ma, inconsapevolmente, è entrato nel tritacarne del pubblico ludibrio.
D’ora in poi, i giornalisti della cronaca giudiziaria saranno costretti a non poter più fare il copia-incolla, ma dovranno sintetizzare. Bisogna dare atto, di là dal suo colore politico, al governo che si è fatto carico, nel rispetto dello Stato di diritto, di limitare lo sesquipedale potere delle procure e il debordante circo mediatico giudiziario. Assurdo è l’uso che si fa dell’avviso di garanzia, l’opposto di come è stato concepito: fatto per tutelare l’indagato, diventa un boomerang e in molti casi - cronaca vera - ha appreso di essere indagato tramite mezzo stampa.
Nonostante che il Partito democratico - non parliamo dei 5S che sono una specie di tricoteuse - sia il partito con una presenza massiccia di sindaci e amministratori, ha bocciato la legge Nordio di stigma liberale. Perché? Perché, a parere della responsabile giustizia,Serracchiani, «è un errore gravissimo: abolire l’abuso di ufficio priva i cittadini dell’unica forma di tutela che avevano contro gli abusi di potere della pubblica amministrazione». Che dire? Ha girato la frittata: non parla di tutela dei pubblici ufficiali bensì di cittadini. Il già presidente dell’Anci, Antonio Decaro, non la pensa come lei, e si batteva per abrogarlo.