È un vero peccato che alle elezioni europee manchi l’Inghilterra. Farebbe scuola sul fatto che da decenni ormai le democrazie votano sulla base del «no». I «sì» non rendono. Hanno funzione accessoria. È un dato di fatto che i governi si cambiano, le maggioranze si nullificano ma le campagne elettorali si esaltano nel negare e Clement Attlee è l’antesignano di tutti i no governativi.
Alla vigilia delle trattative per spartirsi il mondo dopo la seconda guerra mondiale, il leader laburista sostituì Churchill che più di ogni altro leader occidentale, oltre a De Gaulle, aveva vinto sul piano morale la seconda guerra mondiale per l’Occidente. I meriti morali non gli impedirono di perdere l’impero che fu ceduto a Washington - le colonie africane, quelle asiatiche si erano affrancate sole da un pezzo - e la sterlina imperatrice cedette la corona al dollaro. E fu proprio un Inglese, Lord Keynes, a sancire l’avvento di Sua Maestà il dollaro e il declino della sterlina ad ancella nella segrete suites di Bretton Woods.
La sterlina si riscattò parzialmente con un adeguato sviluppo dei paradisi fiscali. Ma è storica la sorpresa di Stalin alla ripresa dei negoziati per la spartizione del mondo sospesi per le elezioni, quando non trovò Winston con sigaro e bombetta, e sedette accanto a Attlee, della serie «mai visto prima». E non è un caso che la foto storica di quella spartizione del pianeta resta quella con Roosevelt, Stalin e Churchill, naturalmente seduti perché Franco Delano aveva la polio ma si erano scordati per dodici anni di presidenza di dirlo agli elettori americani che lo scoprirono un paio di decenni dopo.
Dunque nelle democrazie moderne il «no» impera. È più facile da pronunciare e se consolidato con un integrativo «vaffa» è più semplice da capitalizzare in voti elettorali. Beppe Grillo, di cui sono un grande estimatore culturale e non marginale politico, ha creato un movimento che di no e vaffa ha fatto bandiera, salvo poi perdere dei pezzi e il governo. Beppe ha anticipato Crozza come grande vero esponente di critica politica di sinistra, e a mio parere Crozza sarebbe un ottimo primo ministro.
Ritornando sul rischio dei no all’Europa, pericolo grave fu Paolo Savona, past enfant gatè, molto gatè e poco enfant, dirottato in tempo alla Consob prima che sviluppasse piano B per l’euro, iattura di inimmaginabile disastro economico e politico.
Ai promotori del virus «no», bisogna ricordare che l’Europa è di gran lunga la più straordinaria entità culturale politica che la diplomazia mondiale sia riuscita a produrre non è azzardato dire nei secoli, tanti quanti ne sono passati dalla disgregazione dell’impero romano. Ai critici sfugge che l’Europa ha abolito le frontiere, ha abrogato le guerre interne, ha cancellato le piccole diatribe geo-nazionalistiche, ha creato una moneta unica e ha inventato l’Erasmus, una meravigliosa iniziativa di circolazione fra studenti inventata dalla formidabile Sofia Corradi, «Mamma Erasmus» e comunque a tutti i diciottenni bisognerebbe assicurare per sempre la libera circolazione sulle ferrovie europee.
Piccolo particolare da ribadire ai critici : tutto senza guerre, ma con la cultura. Un tempo Metternich diceva che l’Italia era una espressione geografica confondendo i territori con la cultur. In questo errore fu scopiazzato da Kissinger un modestissimo diplomatico, fallimentare in quasi tutte le sue trovate, famoso più per stragi che per costruzioni politiche.
Basti pensare che la sua «genialata» più grande fu l’apertura alla Cina - cosa di cui tutti siamo grati - ma vista in funzione antisovietica che nel giro di mezzo secolo si è trasformata in una solida alleanza Russo-Cinese e nella più grande antagonista economica americana. Anche per lui l’Europa era una espressione geografica - world order restored - ignorando la immensità di ricchezza culturale di questo continente. La cultura piaccia o no è l’anima del progresso.
Oggi con Intenet, con l’intelligenza artificiale, il sapere si avvia a diventare la vera misura della ricchezza delle nazioni (Pil Sapere) soppiantando il vecchio, retrivo, trogloditico PIL, come il Paese più popoloso al mondo ha già deciso di fare.
Amici del no, l’Europa ha una varietà di riserve culturali inesistenti altrove con la sola eccezione dell’India e dell’Africa. La grandezza dell’Europa è proprio questa, ma nessuno dei candidati alle elezioni la esalta. Questa immensa ricchezza dell’Europa è invidiata da tutti. Dall’America che non riesce a colloquiare con le altre potenze perché vive ancora di residui monopolisti del potere. Invidiata dalla Russia che ambirebbe, e avrebbe diritto, a farne parte politicamente e che invece assediata da tutti i lati si è dovuta rifugiare in Asia, la più tragica delle sciocchezze diplomatiche secondo Brizinsky. Invidiata dalla Cina che sa di non poterne fare a meno e ceca di sbarcarvi con la Nuova via della Seta.
Basta con i «no». Lodi alle burocrazie che hanno consolidato un pensiero comune sui datteri e suoi consumi di massa. Lode alle entità giuridiche che stanno creando uno schema comune.
Ma soprattutto lode alla diversità di visione politica che permette di ipotizzare un Orban, un Scholz, una Le Pen , dai quali si può dissentire, ma che permettono di sviluppare una dialettica politica planetaria più ricca. L’Europa è viva proprio grazie alla varietà. Si rappacifichi con la Russia, questa sua espulsione dal contesto culturale europeo è ridicola, salvando chiaramente la sicurezza atlantica. Si apra all’Africa, che è il vero futuro dell’Europa, altro che trasferimento via mare in Albania. Perché mai la Cina si è installata in Africa? E si apra a Draghi senza se e senza equivoci.
Questi no ci hanno stufato. La diversità è l’elemento unificatore dell’Europa. Assaporiamola e siamone fieri.