Sabato 06 Settembre 2025 | 15:54

Una ferita profonda aperta dal Ddl sulla magistratura

 
Andrea Apollonio

Reporter:

Andrea Apollonio

toghe

Non è la prima volta che il Governo avanza una riforma organica della Costituzione che contempli la separazione delle carriere tra giudici e pm;

Venerdì 31 Maggio 2024, 14:39

Non è la prima volta che il Governo avanza una riforma organica della Costituzione che contempli la separazione delle carriere tra giudici e pm; né per la prima volta viene paventato un organo di disciplina diverso dal Consiglio Superiore della Magistratura. Tecnicismi incomprensibili per i non addetti ai lavori; spiegare il contenuto di queste riforme sarebbe d'altronde uno sforzo inutile, se non fosse questa volta in gioco la stessa natura democratica della Costituzione. E' in gioco la nostra storia repubblicana, quella che affonda le radici nell'avversione agli autoritarismi di ogni genere e specie: vale la pena sforzarsi, per capire.

Il ddl presentato dal Governo contempla infatti una novità assoluta nel quadro dei principi costituzionali: il sorteggio, anziché l'elezione, dei membri degli organi di governo della magistratura; e questo è un tecnicismo, ma che sottende un principio. Il più antidemocratico dei principi: perché non è il corpo elettivo a decidere chi lo governa, ma il caso, la sorte. Il corpo elettivo non sarebbe - in questo caso - civicamente degno di esprimere i propri rappresentanti di governo, sebbene a costoro si affiancherebbero, in ogni caso, quelli espressi dalla politica. Era la soluzione di compromesso sapientemente individuata dai Padri Costituenti per evitare da un lato l'autoreferenzialità della magistratura, dall'altro il controllo della politica su di essa; adesso il governo della magistratura (e la tutela della sua indipendenza) verrebbe anarchicamente affidato al caso, sottendendo il chiaro disegno di renderla di fatto ingovernabile (e intutelabile), e di attrarla fatalmente nell'orbita dell'unico potere elettivamente forte, oggi più che mai: la classe politica esecutiva.

È la fine dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, la cui indicazione rimane sancita, ma solo per costituire un vuoto simulacro; è la fine della separazione dei poteri. Ma è anche la fine dell'immagine di autorevolezza che l'ordine giudiziario deve dare di sé, ogni giorno nei palazzi di giustizia, a quel cittadino che vi accede. Un potere, quello giudiziario, non elettivo, e non potrebbe esserlo; ma sottoposto a sorteggio nei suoi aspetti di più alta amministrazione, con l'estrazione di bussolotti da una gabbia in movimento, come il giorno della Befana per i numeri della Lotteria Italia. Un'immagine rassicurante, se non fosse devastante per l'idea condivisa della magistratura e, più in generale, di una democrazia partecipata.

Forse è un primo passo verso una nuova modernità costituzionale di cui appena si intravedono - orwellianamente - i contorni, non più partecipata ma passivamente partecipante. Una conclusione estrema, ma fondata: perché mai, nella storia repubblicana, ci si era spinti fino al punto di ipotizzare - con un ddl governativo, nel primo centro decisionale del Paese: il Consiglio dei Ministri - di rendere antidemocratica la stessa Costituzione, senza il rischio di incorrere in un ossimoro logico e giuridico: perché vi si sacralizza per tabulas il principio, di modo che nessuna Corte possa mai sancirne l'illegittimità alla luce della Costituzione (oggi, ancora, autenticamente democratica).

Questo ddl governativo reca una ferita profonda alla nostra storia repubblicana, che nella sua Costituzione fin qui pienamente e integralmente democratica ha sempre trovato una sintesi politica e sociale, modificandone la natura più nobile, inserendovi un principio che ne rappresenta l'antitesi. Un principio, va aggiunto, doppiamente antidemocratico, perché da un lato l'elezione di un corpo di rilevanza costituzionale avverrebbe per sorteggio, dall'altro - in dispregio del più democratico dei principi, quello di uguaglianza - ciò varrebbe soltanto per una categoria specifica di cittadini: i magistrati, che divengono a questo punto - orwellianamente - meno uguali degli altri. Chi saranno i prossimi?

La seconda chiave di lettura - persino secondaria, considerate le premesse di sistema - non può che essere quella punitiva di un ordine giudiziario che non ha mantenuto le sue promesse di integrità morale: le gravi vicende legate al correntismo dentro il Consiglio Superiore della Magistratura (emerse nel 2019 per opera degli stessi magistrati: ma questo non lo si ricorda mai) non sarebbero state adeguatamente valorizzate nel processo di rinnovo della classe magistratuale; che involge l'intera società, ad eccezione però di una classe politica sempre più libera nei fini, e anche nei mezzi. Punire dunque la magistratura, incapace di rinnovarsi (e di applicare senza troppo rumore la legge), con la separazione delle carriere e degli organi di governo - ivi compresa una magistratura disciplinare senza magistrati - con sostanziale, irreversibile influenza del potere legislativo ed esecutivo su quello giudiziario. E senza un controllo giudiziario autonomo e indipendente, sono spalancate le porte agli autoritarismi di ogni genere e specie.

Saranno tecnicismi, ma sovvertono l'equilibrio dei poteri sancito (oggi) nella Carta, per evitare che un potere abusi del proprio potere. Vale la pena sforzarsi, per capire: o si deve pensare che - orwellianamente - il cittadino non sia più interessato al funzionamento democratico dello Stato?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)