«Uno che fa filosofia in Europa fa politica nel senso che la analizza, la studia». E ancora: «Non c’è alcun filosofo che non abbia fatto politica da questo punto di vista, dai presocratici a oggi». Qualcuno per di più l’ha praticata. Questa illuminante puntualizzazione di Massimo Cacciari serve da pungolo per potersi immergere in un’opportuna e adeguata analisi sulla politica, interrogarsi ad esempio su quanto i politici si rifacciano alla filosofia e quanto e come i filosofi analizzano la politica. Un politico in quanto tale non può limitarsi a un uso amministrativo, ad amministrare «la cosa», deve anche occuparsi di un «oltre», un progetto, una visione. Creare un oltre come possibilità futura di costruire anche in virtù dell’agire (Kant). Il politico indica un progetto che vede nell’avvenire qualcosa di esistente e potrebbe rifarsi a Leopardi, Machiavelli o Manzoni. E non solo.
Posto che la politica non è un semplice affaire quotidienne ma «un lavoro dello spirito», un impegno profuso affinché pensiero e azione si concilino per creare una visione, un programma lungimirante da immaginare e voler attuare. Ecco, programmi, visioni, utopie, finanche, la volontà a voler creare una città ideale: una città giusta, virtuosa. Dante riprendendo «il Filosofo» Aristotele sosteneva che «in una società giusta il cittadino buono è anche un buon cittadino» e questo sembra voler dire che l’etica, l’educazione abbiano a che vedere con la politica. Da un aspetto a volerlo considerare teoretico a uno pragmatico la necessità di realizzare questo e come si lavora da qualche anno ai nostri giorni, se si verifica ciò connettendo filosofia e politica. Onestà e rettitudine. Serietà. E allora, cade a fagiolo il fatto: la campagna elettorale in molte regioni, alcune terminate (Sardegna e Abruzzo) e altre in itinere, quale la Basilicata e quelle riguardanti Lecce e Bari.
Ancora non sono nette le figure politiche che si contenderanno il ruolo di Sindaco nel capoluogo di Regione, si profilano le candidature di Vito Leccese e Michele Laforgia, per il centrosinistra. Mentre, sull’ala destra, l’unica certezza è a Lecce con Adriana Poli Bortone. Evitando personalismi che non riguardano affatto lo scopo di tale analisi, come comprenderete, è importante chiedersi innanzitutto quali e dove sono le figure che si formano e si educano, le nuove promesse, le speranze del futuro, e soprattutto perché la destra, il centro, il civismo, appaiono al momento delle candidature puntualmente sorprese, quasi fossero colpite alla sprovvista. Perché lamentarsi della mancanza di un’alternativa, se poi non si riesce a presentare un’alternativa, una novità, a essere il cambiamento? Non si è sul pezzo! (Per restare nel gergo giornalistico). Ci saranno delle motivazioni a sostegno di ciò?
Lasciare la città, le città, la regione, le regioni, l’Italia a una unica governance sia essa di destra sia di sinistra per anni, non denota sempre elementi positivi, crescita culturale. Talvolta non è indice di una sana democrazia. La realtà dal particolare all’universale è visibile agli occhi. Quanto sono importanti i cittadini, il benessere degli altri, la civitas, quanto gli interessi, il potere, ecc. Quanta filosofia si è appurata sino a oggi in politica?
Vi lascio in balia di tali interrogativi che si insinueranno o forse no nelle vostre menti, ai quali qualcuno troverà risposta. Ci auguriamo. E poi? Con le parole di Galimberti avvio tali considerazioni alla conclusione: «La politica non c’è più, tutto è governato dalla tecnica che oltrepassa le competenze. Il sapere è antitetico al potere». È un nichilismo, un annullamento dell’umano che si potrebbe combattere innanzitutto con una buona educazione e una buona filosofia politica, vale a dire un pensiero che risolva in pratica le ingiustizie, che abbatta le discriminazioni sociali, che abbia dei validi strumenti, che miri a valorizzare le personalità di ciascuno e non i personalismi, a formare i leaders, ad avvicinare i ragazzi alle questioni della pluralità insegnando che è un loro dovere civico, che Aristotele, Machiavelli, Rousseau, Kant, Arendt, o anche Dante, Manzoni, Leopardi, non sono parte di discipline umanistiche tediose e antiquate, ma rappresentano visioni politiche da valutare che possono anche giovare alla costruzione di un presente e di un oltre, ovvero di un futuro che oramai sembra essere scomparso. Si vive il qui et ora per scopi primari, per assenza di visioni, di progetti. Non si palesa a chiare lettere la visione di una città che abbia rispetto delle priorità, dell’identità culturale, della voglia di condividere verità. Sembra che ciò che conti sia far quadrare i conti, nel migliore dei casi, imporsi nelle peggiori, spesso lasciando un vuoto incolmabile di relazioni, di dialoghi, di desideri, di voglia di costruire insieme e cambiare insieme una città e renderla sicura, sana, un paese che alla fine sembra si risolva in un unicum «amministratore di condominio» dove i più, volenti o nolenti, subiscono in quanto non rappresentati. Emarginati. Esclusi perché non parte di un bacino di utenza che garantisca voti.
Perché – è noto – il tutto si risolve col «voto»: di protesta, di rassegnazione, di affermazione, ma poche volte di cambiamento concreto che costituisca un valore aggiunto. Votare in fondo è un atto d’amore, se il candidato non si dimostra un valore aggiunto nella relazione, è un voto a perdere. E chissà se anche per fare i politici ed essere «politici di professione» non occorra un test selettivo psico-attitudinale (come quello indicato per gli insegnanti), una scuola e corsi di formazione e aggiornamento. Magari si eviterebbero scene da cabaret o da far west.