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L’acciaio della Taranto che declina, ma rinascere si può

 
Aldo Perrone

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Aldo Perrone

L’acciaio della Taranto che declina, ma rinascere si può

Dei tanti, che in passato non facevano altro che parlare con positività del suo futuro si stanno pian piano perdendo le tracce

Giovedì 19 Ottobre 2023, 13:58

La crisi dell’Acciaieria di Taranto è in questi giorni venuta allo scoperto. Dei tanti, che in passato non facevano altro che parlare con positività del suo futuro si stanno pian piano perdendo le tracce. Se c’è una cosa che spiace è il famoso «l’avevamo detto noi»; e per vero proprio su queste pagine chi scrive ne aveva parlato già da sette anni, e successivamente ripetuto su questo giornale in occasione di nuovi elementi, figli di uno stesso procedimento di decadenza, tante volte. La più recente, nello scorso febbraio.

Oggi, fra cassa integrazione come normalità; fra la presa di posizione di Bernabé, che chiarisce come il futuro sia compromesso e - notizia dell’ultimo minuto - persino l’impossibilità dell’azienda di avere il gas, tra caduta della produzione, incidenti ogni tot giorni ecc., credo si possa dire che, a guardare con realismo, si poteva pensare in certi mondi già da tempo che saremmo giunti a questo punto. Che a me pare di non ritorno.

Anche altri luoghi noti si lamentano, ma per verità pare incontrino promesse con qualche concretezza, come Piombino, ed altri luoghi pronti per l’acciaio green.

C’è per la nostra città quello che si chiama volontà politica? Non pare. Invece sarebbe il tempo di affrontare per tempo il problema. Chiusa che fosse l’acciaieria c’è bisogno di evitare che chi ci lavora si trovi senza futuro. Allora, un progetto, che contempli a Taranto la nascita, privati o statali che siano, di aziende di taglio moderno, come la costruzione di pannelli solari (che sappiamo, sono andati verso la Sicilia), o come aziende manufatturiere (sì, come una volta erano i Cantieri Tosi), o di aziende del settore della tecnologia avanzata, che trattenga qui i giovani più preparati che lentamente vanno via da Taranto.

Occorre che non siano estemporanee, ma un tessuto che dia la dimostrazione che un Mezzogiorno moderno può farcela. Nel frattempo – e qui deve intervenire lo Stato – occorre un progetto di vasto e concreto disinquinamento del territorio, che è disastrato da anni ed anni di inquinamento senza eguali nei territori italiani. Quasi un anno fa la ricercatrice Valeria Tonini, chirurga universitaria da Bologna giunta al nostro ospedale per un anno sabbatico, ha spiegato che in un mese a Taranto ha asportato «50 chili di sarcomi retroperitoneali»; il più piccolo «di nove chili» ed il più grande «quanto un’anguria». (È un male subdolo che solitamente si scopre tardi).

Le sue dichiarazioni venute dalla sua esperienza di scienziata furono: «Serve uno studio approfondito per la presenza di aziende siderurgiche che hanno un significativo impatto sulla vita delle persone». E ancora: «Perché, ciò che viene definito nella letteratura un tumore raro qui è all’ordine del giorno?». È una piccola nota di quel che ha sofferto Taranto in sessant’anni.

Lo Stato in questo campo del disinquinamento deve assolutamente fare come fece a Torino quando ci fu la crisi della Fiat: risanare il debito morale verso una città che ha subito in sessant’anni per servire gli interessi siderurgici italiani in maniera massiccia, senza mai fermarsi, in un modo o nell’altro fino ad oggi. Un debito che lo Stato non può non onorare. Con il risanamento dei territori e del nostro mare tornerebbero l’ostricultura e la mitilicultura e la pesca ai livelli «antichi», quando erano un vera industria. Intanto le nuove aziende indicate più sopra andrebbero favorite per fermarsi da noi.

Un progetto complessivo, preparato per tempo, per evitare scossoni nel momento della chiusura della siderurgia a caldo. Ne verrebbe una programmazione di grande civiltà che eviterebbe il ripetersi tipo la forse dimenticata «vertenza Taranto», con le sue sofferenze e le sue distorsioni.

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