Accade a Lecce, liceo Classico e Musicale «Palmieri». La preside invia una circolare a docenti e studenti invitando tutti al rispetto e al decoro, cioè a non presentarsi a scuola con abbigliamento balneare o da discoteca e ad utilizzare il cellulare solo durante la ricreazione. Vale a dire: no a ciabatte, ombelichi occhieggianti, top strizzati, jeans strappati e/o lati a o b a vista. Accade anche che gli studenti protestino, cianciando di diritti negati e di spazi corporei cui si impedisce la libertà di espressione.
Ora, chi scrive, per ragioni anagrafiche appartiene ad una categoria che di simili rivendicazioni ha fatto un mantra di emancipazione: ma. C’è un «Ma», oggi, grosso quanto una casa. Che si chiama decoro. Il che significa, da vocabolario, «dignità che si manifesta nell’aspetto e nel contegno: il complesso di attributi che definiscono la percezione sociale di un individuo, sancendone la sua dignità».
Il Decoro si accompagna sempre ad un altro termine, inviso ai giovanissimi(studenti) e ai meno giovani (docenti) e a quanti si dicono pronti a scendere in piazza in difesa della ciabatta libre: Decenza. Ovvero «compostezza, costumatezza, misura, pudore, ritegno». I quali Decoro e Decenza (senza essere del paleolitico, per capire ciò di cui si ciancia basta una passeggiata davanti a qualsiasi scuola italiana all’ora di uscita) sono spesso entità oscure ancora tutte da definire per i ragazzi, e da ricordare ad alcuni prof. che non si rassegnano agli anni che passano.
Infine Decoro e Decenza se la fanno, per dirla con il gergo caro ai destinatari della circolare scolastica, con quel grandissimo rompiscatole che è il Rispetto. Il quale, sempre da vocabolario, pretende «Riconoscimento di una superiorità morale o sociale manifestato attraverso il proprio atteggiamento o comportamento».
Insomma: Decoro, Decenza e Rispetto sono i tre valori la cui assenza imputiamo ai nostri giovani scandalizzandoci e condannandoli quando bullizzano chi, tra i loro coetanei, non si omologa alla vulgata. Quando portano in classe e usano armi giocattolo che tanto giocattolo non sono. Quando, ineducati a tutto, si comportano da tamarri. E lasciamo al codice penale il peggio che non pochi ragazzi sono capaci di tirar fuori.
Quindi avanti tutta, cara preside leccese, cari professori che non vi lasciate intimidire tentando di ricordare a tutti, anche ai vostri colleghi, che la Scuola è una Istituzione di questo Paese (anzi: la prima istituzione utile alla formazione dei futuri cittadini e alla loro educazione sociale) che non è esattamente la casa del Grande Fratello e che no, non puoi fare come ti pare. E che il telefonino – evviva,evviva - va spento quando si fa lezione nella vita reale. Avanti tutta, sperando che si trasformi in un’onda per tutte le scuole di questo Paese.