Devo ammetterlo, sono fissato, tutti i giorni mentre percorro i pochi chilometri di strada litoranea che mi separano dal luogo di lavoro, ahimè, lo sguardo non viene attratto dal bello, dall’azzurro con la macchia mediterranea che incornicia il mare, ma da quello che lo compromette. Conosco ogni busta di plastica, pneumatico e bottiglia abbandonata da qualche “distratto” in quei pochi chilometri immersi nel Parco Otranto-Santa Maria di Leuca, una strada che si prepara ad essere percorsa da camminatori e ciclisti, per lo più stranieri, che fino a fine ottobre godranno di questi paesaggi mediterranei.
Nel suo breve saggio pubblicato in Italia da Einaudi “E se smettessimo di fingere?” Jonathan Franzen dice: “Per chi ha a cuore il pianeta, e le persone e gli animali che lo abitano, ci sono due modi per affrontare il problema. Si può continuare a sperare che la catastrofe sia evitabile, e sentirsi sempre più frustrati o furiosi per l’inerzia del mondo. Oppure si può accettare l’idea che il disastro sta arrivando e cominciare a ripensare il significato della parola “speranza”. È questo il mio problema. Quando vedo una nuova busta di rifiuti abbandonata su una delle più belle strade di Puglia e aspetto che l’involucro si deteriori (perché nessuno la raccoglierà) attendendo che il suo contenuto sbocci come un fiore e che presto si diffonderà come semi al vento, la speranza si affievolisce. Ho sempre creduto che siano le piccole cose a fare le grandi cose, i gesti più semplici, le abitudini più naturali. Ma oggi per il pianeta è venuto il momento della grande mutazione e non mi riferisco all'ormai tanto decantato cambiamento climatico ma all’assalto distruttivo cui assiste ogni santo giorno chi vive nel Salento.
Mentre le dichiarazioni del Cnr di Bari aumentano la speranza dei territori non ancora troppo colpiti dal Co.Di.Ro. dell’olivo “registrando fenomeni di parziale ripresa” grazie alla risposta delle piante (visione sciamanica), nella nostra terra si continuano a macinare tronchi centenari di ulivo, potenti macchine mosse da ditte calabresi imperversano nelle campagne trasformando la storia di questo territorio in tante piramidi di segatura. Chi cerca di curare gli alberi e di sostenere le antiche piante con le buone pratiche deve dormire con gli occhi aperti per il rischio che tutta la sua fatica venga incendiata in un attimo. Fuoco e ruspe, questo stiamo vivendo anche grazie ad un Decreto Legge, il 27/2019, che per le procedure di espianto nelle zone dichiarate infette consente la deroga a qualsiasi vincolo di tutela ambientale, incluso Parchi, zone protette, e Zone Speciali di Conservazione. Mi chiedo perché i nostri ulivi non debbano avere la stessa speranza di quelli di Ostuni. Non sarebbe il caso di rivedere quel decreto legge emanato nel 2019? Ma la politica locale, internazionale e intergalattica è impegnata in altri temi fondamentali volti alla distruzione definitiva della bellezza; alcuni si stanno occupando di come aumentare i limiti di velocità sulle strade salentine, altri si stanno prodigando per rifare il lifting al più grande sversamento di cemento che il Capo di Leuca abbia mai ricevuto in dono (forse per natale). Un’autostrada, la Maglie- Santa Maria di Leuca, che dopo trent’anni vedrà la luce con il suo primo lotto (ben venga fino a Montesano Salentino), tutto senza vincoli. Si chiude il portone quando i buoi sono già scappati e ci si improvvisa paladini del controllo legale di un’opera che rimarrà sempre nota nella storia come “la vergogna delle vergone”; nessun commissario straordinario potrà mai cancellare la delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 2016. Costruire vetrine, trasformare con un colpo di bacchetta un’infrastruttura industriale in turistica cambiando poche linee del progetto affidato alla Pro.Sal e tutte le altre “macroscopiche illeicità”, le discariche tossiche che sono ancora lì. Senza memoria non avremo speranza.
Nel suo saggio Jonathan Franzen dice chiaramente che la guerra è perduta ma ciò non rimuove la necessità di agire. “Una guerra senza quartiere contro il cambiamento climatico aveva senso solo finché era possibile vincerla. Nel momento in cui accettiamo di averla persa, altri tipi di azione assumono maggiore significato. Prepararsi agli incendi, le inondazioni e l’afflusso di profughi è un esempio pertinente (...) Ogni movimento verso una società più giusta e civile può essere considerato un’azione significativa per il clima. Garantire elezioni eque è un’azione per il clima. Chiudere le macchine dell’odio sui social network è un’azione per il clima. Istituire politiche migratorie umane, sostenere l’uguaglianza razziale e di genere, promuovere il rispetto delle leggi e la loro applicazione, difendere una stampa libera e indipendente e vietare le armi d’assalto sono tutte azioni significative per il clima (...) Va bene lottare contro i limiti della natura umana (...) ma è altrettanto importante combattere battaglie più piccole e locali che avete qualche realistica speranza di vincere. Continuate a fare la cosa giusta per il pianeta, sì, ma continuate anche a cercare di salvare ciò che amate nello specifico – una comunità, un’istituzione, un luogo selvaggio, una specie in difficoltà – e a rallegrarvi per i vostri piccoli successi.” Un gesto semplice come vedere un bambino che raccoglie una lattina da terra può riempire il cuore di speranza così come il non atto di gettarla via.