Silvio Berlusconi con la gentilezza che gli è propria, e la nota sensibilità per i mass media, è morto di buon mattino. Le redazioni dei giornali hanno avuto così tutto il tempo per aggiornare e impaginare tutto quanto era già stato preparato da tempo. La lunga degenza ospedaliera aveva inevitabilmente indotto i media a preparare plurimi «coccodrilli».
Com’era prevedibile tutto è stato all’insegna di «Berlusconi e …» la politica interna ed estera, l’imprenditoria edilizia e massmediale, le donne, la magistratura, il calcio, fino all’antropologia, la psicologia, la sociologia, il costume, l’aneddotica, etc. etc.
Tutto molto all’insegna del panegirico per un verso e dell’invettiva per l’altro. Con cadute di stile all’insegna dell’eccesso in entrambi i rami. Anche il lutto nazionale ha subito la stessa sorte. È inevitabile in un Paese alquanto rissoso dove le madri di guelfi e ghibellini figliano costantemente. Le televisioni, al netto della diretta dei funerali, ci hanno messo del loro ma all’insegna delle repetita che non sempre iuvant.
Meno eleganti sono state le considerazioni sulle faccende ereditarie, in senso aziendale e politico.
Mettere il naso sul lascito, a Cavaliere neppure cremato, mi sembra una caduta di stile. Nel primo caso sono fatti della sua famiglia. Nel secondo si accolla al defunto un problema di chi resta.
E nel generale profluvio di parole e immagini, il volto semplice e la voce appena rauca di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo metropolita di Milano. Curriculum pastorale e accademico d’ineccepibile solidità. Teologo ma anche scrittore brillante.
È probabile che un uomo avvezzo a studi su Pico della Mirandola, in confidenza con la patristica, frequentatore dell’Augustinianum, non si sia scosso più tanto nell’apprendere di dover dire «poche ma sentite parole» a proposito di Silvio Berlusconi.
Il problema non era dei più semplici. Al Pastore toccava dire di una pecorella particolarmente irrequieta del suo gregge e in più, di fatto, le sue parole sarebbero state oggettivamente la valutazione di Santa Madre Chiesa sul personaggio.
Facile immaginare che sia passato per la testa di Monsignor Delpini il motto gesuitico nisi caste, tamen caute. Quanto alla castità di Berlusconi c’era poco da fare ma un po’ di cautela non avrebbe guastato. Come derubricare un argomento tanto spinoso? Il genio di Monsignor Delpini escogita il semplice «Godere il bello della vita» insaporendolo con la passionalità e la spregiudicatezza che al defunto non hanno mai fatto difetto. Un capolavoro di tatto, di colta reticenza, di brillante prudenza e persino di delicata ironia.
C’era da aspettarselo dall’autore di un gustoso libretto: Reverendo, che maniere! Piccolo Galateo Pastorale. Appunti affettuosi e scanzonati per preti in cammino verso il terzo millennio.