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Violenza in classe e altri misfatti dei ragazzi armati

 
Enzo Verrengia

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Enzo Verrengia

Violenza in classe e altri misfatti dei ragazzi armati

Lo stillicidio di aggressioni agli insegnanti che caratterizza la cronaca degli ultimi anni in Italia non deve preoccupare di meno

Martedì 30 Maggio 2023, 13:25

L’accoltellamento della professoressa di Abbiategrasso da parte di un alunno sedicenne non è ancora Columbine o l’ennesima mattanza compiute negli Stati Uniti da adolescenti armati. Comunque, lo stillicidio di aggressioni agli insegnanti che caratterizza la cronaca degli ultimi anni in Italia non deve preoccupare di meno.

Non si sono spenti, per esempio, gli echi del pestaggio subito a Foggia da Pasquale Diana, vicepreside della scuola media «Murialdo» per mano del genitore di un alunno maleducato che spingeva i coetanei durante l’uscita. A Santa Maria di Vico, Caserta, la professoressa Franca Di Blasio fu sfregiata in viso da un diciassettenne.

A Bari, nel quartiere Libertà, una madre si scagliò contro l’insegnante rea di averle rimproverato la figlia per la condotta. La picchiatrice iniziò con un ceffone, facendo volare via gli occhiali all’aggredita, poi le si avventò addosso, senza smettere se non con l’arrivo dei carabinieri, chiudendo su una minaccia: «Non la passerai liscia, ti faccio fuori».

Questa deriva peraltro risale a molto più in là del passato prossimo. Si prenda il Franti di De Amicis in Cuore. È la pecora nera della classe di cui da oltre un secolo si conoscono le vicissitudini di un anno scolastico. «Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata».

Con l’avvento del clima ribellista degli anni ‘60 del XX secolo, Franti beneficiò di una promozione a icona del nuovo modello giovanile. Nel Diario minimo, Umberto Eco include quel saggio ormai celebre, Elogio di Franti, ironica eppure appassionata difesa del ragazzo maledetto che non si piega all’autorità perché portatore di una carica rivoluzionaria. La stessa che in seguito però, rispetto al periodo di uscita del pezzo, sarebbe poi deragliata verso gli anni di piombo.

La crisi della pedagogia e della didattica nelle società industriali è insita nelle medesime premesse della competitività, del classismo e dello sfruttamento. Richard Dadier fa il professore alla North Manual Trades di New York, un istituto tecnico professionale in cui si svolge Il seme della violenza, di Evan Hunter.

Richard Brooks nel 1955 ne trasse un film con protagonista Glenn Ford. L’educatore, un idealista che insegna inglese, si trova dinanzi una classe di disperati, incitati dall’afroamericano Miller, che nel film era Sidney Poitier. Loro sono certi in partenza che non realizzeranno il sogno americano, privi del diritto alla felicità garantito dalla Costituzione. Un anno scolastico alla Manual Trades sarà il più infido percorso di guerra che possa attendere finanche un reduce del Pacifico, come Dadier.

Bullismo, mobbing e sordidi appetiti sessuali formano la miscela in cui germoglia il seme della violenza, splendida resa italiana di un titolo originale ugualmente significativo, The Blackboard Jungle, la giungla della lavagna. La lavagna, dove un professore della Manual Trades non deve mai dare le spalle alla sua classe, per non rischiare la vita.

Autenticamente profetico fu il cantore del nuovo, orrendo, assetto metropolitano peninsulare. Si tratta di Giorgio Scerbanenco con I ragazzi del massacro, terza inchiesta del cupo e tormentato Duca Lamberti, medico incarcerato e radiato dall’albo per avere aiutato a morire senza soffrire una signora malata di cancro e successivamente investigatore non ufficiale della questura milanese.

Una torma di teppisti minorenni dei corsi serali violenta, sevizia e uccide un’insegnante. Scrive l’autore: «Meglio sarebbe stato che la classe fosse stata tenuta da un sergente maggiore della legione straniera, e non da lei, fragile, delicata signorina della piccola borghesia dell’Alta Italia».

Una soluzione esasperata e irreale, certo. Ma da confrontare con i disastri prodotti dall’iperprotettività, dall’abdicazione di troppi genitori al proprio ruolo.

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