In un articolo scritto per «Avvenire», che apparve il giorno dopo la scomparsa di don Tonino Bello (20 aprile 1993), monsignor Luigi Bettazzi, suo carissimo amico, affermò che «è difficile capire adesso che cosa ci mancherà di più dell’umanità e della spiritualità di don Tonino; forse la sua capacità di spiegare realtà importanti in un linguaggio poetico che andava diritto al cuore». E aveva ragione, perché don Tonino scelse, infatti, di annunciare il Vangelo attraverso quello che chiameremmo il narrativo vissuto, assumendo la poesia e la parresìa (cioè la franchezza, la sincerità) come sue costitutive modalità comunicative.
Quanto e come la sua profezia necessiti della poesia per poter essere espressa e accolta vitalmente dai suoi interlocutori; come quella, costituendo l’orizzonte sul quale si staglia la sua poesia, la informi e la determini; come si possa conciliare la lancinante essenzialità della Parola, sperimentata da lui, con la sovrabbondanza della ripetizione e della metafora che caratterizza i suoi testi, sono alcune delle domande che restano ancora aperte, pur nella convinzione di alcuni, come me e soprattutto come il compianto Donato Valli, critico letterario di vaglia e già presidente della Fondazione «Don Bello», secondo cui profezia, poesia e prosa poetica siano state elementi inscindibili della sua scrittura.
Leggendo o rileggendo i numerosi scritti di don Bello (sono in totale e curiosamente 33, senza contare quelli del suo Diario e delle sue intense e lungimiranti esperienze pastorali vissute prima dell’episcopato…), che sarebbe utile ri-elencare, e confrontandoli con la sua esistenza, si coglie subito come non siano esistite in lui distanze fra scrittura e vita; maestro perché testimone, don Tonino prima viveva e solo successivamente raccontava le sue straordinarie esperienze. E niente di quanto egli narrava è allegorico o inventato dalla fantasia, che pur non gli mancava, ma tutto trovava corrispondenza nei nomi, nei volti, negli incontri, nei fatti, nella concretezza della vita e dell’esperienza.
Bisognerebbe tracciare nuovamente le linee fondamentali del suo ritratto di uomo, di sacerdote e di vescovo perché i suoi scritti possano essere compresi nella loro vera forza e profondità. Ma è stato già scritto molto su di lui in questi trent’anni che ci separano dalla sua scomparsa. Il riconoscimento, conferito alla sua memoria dagli editori e librai cattolici, come «Autore dell’anno 1996», ad esempio, mette in luce non solo l’ampiezza della diffusione dei suoi testi, alcuni dei quali tradotti in ben 5 lingue, ma soprattutto i suoi meriti indiscussi di scrittore e poeta. Particolare attenzione meritano alcune sue opere, non solo per la loro bellezza, ma perché si prestano per lo studio degli elementi formali della sua prosa d’arte. Come Alla finestra la speranza (1988), più volte riedito, che permette a tutti di conoscere il cuore del vescovo di Molfetta, di condividere con lui la gioia dei franchi colloqui con i fedeli, di fare proprio il dolore e la vergogna, insieme al rimorso, per tutte le situazioni amare che denuncia, e di sentirsi personalmente invitati a mettersi in ascolto del futuro.
Sentinelle del mattino (1990), poi, contiene le tre «lettere» rivolte a Giuseppe, Maria e Gesù (sono originariamente «relazioni» pronunciate alla Cittadella di Assisi nei convegni giovanili di fine anno), attraverso le quali don Tonino invia un forte messaggio contro la cultura dello spreco e dell’effimero, per andare oltre l’opacità delle cose e per liberarsi dalla rassicurante trappola della solitudine. Maria donna dei nostri giorni , edito proprio nei giorni immediatamente successivi alla sua morte, invece, è una sorta di originale «vangelo apocrifo», ricco di supposizioni ardite, di invenzioni da narratore visionario, di splendide immagini che aiutano il lettore a rivolgersi finalmente a Maria come ad un donna «vera», nostra compagna di viaggio.
Ad Abramo e alla sua discendenza (1992), infine, è un colloquio confidenziale realizzato con i personaggi della Bibbia, allo scopo di leggere, attraverso vicende lontane, il senso di certi eventi vicini e di interpretare l’enigma delle scelte nodali del mondo contemporaneo. Posti di fronte a queste pagine, è difficile comprendere se si tratti di un’esegesi della Bibbia o piuttosto della vita; forse si tratta dell’una e dell’altra.
Ed è proprio questa felice confusione, grazie alla quale cadono le barriere dello spazio e del tempo, colloca senza possibilità di fuga l’uomo di oggi a contatto col mistero, aprendogli «squarci d’infinito» attraverso le «feritoie della storia», da dove don Tonino, con «le pupille allargate di felicità», ha scrutato l’orizzonte e iniziato a organizzare la speranza.