È da ieri in libreria «Spare - Il minore» (Mondadori, pagg. 540, euro 25), primo libro del principe Harry che, tra rivelazioni e riflessioni intime, riattraversa le vicende di casa Windsor.
«Never complain never explain». Mai lamentarsi, mai dare spiegazioni. La frase, attribuita a Benjamin Disraeli, primo ministro fra il 1868 e il 1880, è poi diventata un motto, un codice di comportamento per la classe dirigente britannica e soprattutto per la famiglia reale. La regina Elisabetta ne è stata un esempio difficile da imitare, particolarmente per una famiglia come la sua che è stata spesso attraversata da irrequietudine e difficoltà ad aderire al canone. Fino a poco prima di morire tuttavia la sovrana era riuscita a coprire le crepe; finché fra i congiunti e sui tabloid non è esploso il matrimonio del principe Harry duca di Sussex. Harry è un ragazzo di 38 anni che ha avuto una vita segnata dalla morte precoce e cinematografica della madre Diana; dal fatto di essere secondo in linea di successione al trono; e infine dal fatto di aver sposato una commoner (una cittadina comune, non aristocratica) e per giunta americana. Gli amori americani sembrano non portare particolarmente bene alla corona britannica: nel 1936 Edoardo VIII abdicò al trono dopo meno di un anno di regno per sposare Wallis Simpson, pluridivorziata, con simpatie naziste e sospettata di spionaggio. La moglie di Harry, Meghan Markle, si presenta con un profilo molto più moderato: prima del matrimonio era semplicemente un’attrice di origine afroamericana. Eppure anche lei appena messo piede in Casa Windsor ha calamitato pettegolezzi che hanno riempito i tabloid e creato dissapori con la cognata Kate Middleton, moglie dell’erede al trono William, a cui fu accusata di voler fare ombra. Seguirono dissapori fra i due fratelli, contrasti più o meno dissimulati (meno, in verità) e dichiarazioni fuori registro che portarono i Sussex a perdere le prerogative di principi. Dopo annunci di frustrazione dolore e tutto quanto fa colore i due giovani si sono trasferiti negli Stati Uniti, dove si sono impegnati in una indefessa attività di confessioni rivelazioni e interviste aventi a unico soggetto i difficili rapporti con la Royal Family Naturalmente, tanto impegno non poteva essere profuso per niente e soprattutto aveva bisogno di una degna cornice; così hanno pensato a un documentario da trasmettere su Netflix che per riconoscenza ha trasmesso loro la modesta cifra di 100 milioni di dollari (sì, milioni).
Però, sapete com’è, in un’intervista, un documentario, spesso non si dice tutto: qualcosa si dimentica, qualcosa magari il giornalista non te la chiede, e poi c’è l’emotività. L’emotività che tanto ha inciso nella vita di questi due giovani. Un libro invece è un’altra cosa. Si può fare un discorso pacato, ordinato, metterci tutti i dettagli, e poi dire alla gente: ecco, questa è la verità. E la gente dopo aver comprato il libro può dire: ecco, questa è la verità. E così Harry si è messo a tavolino. E ha scelto un titolo che è una bomba: Spare, che a spanne si può tradurre «la ruota di scorta, quello in più»; insomma «il minore», come si chiama in italiano.
Il libro doveva uscire in tutto il mondo il 10 di questo mese, poi sapete come vanno le cose, no? Una copia arriva nottetempo al «Guardian», i librai spagnoli per errore lo fanno uscire 5 giorni prima, e insomma la gente è ancora più ingolosita. Perché di bombe nel libro non c’è n’è mica una sola. Per esempio su Harry si è sempre spettegolato per la sua somiglianza con il maggiore dell’esercito britannico James Hewitt; ma lascia francamente di stucco leggere che re Carlo scherzando con lui gli chiede: «Ma tu lo sai chi è il tuo vero padre?» Pensate come ci è restato quel povero figlio guardandosi allo specchio: di chi? Lui che già aveva i suoi problemi dopo la morte della mamma e,comprensibilmente, insieme a William aveva chiesto al padre di non sposare Camilla. Una volta a 17 anni si era addirittura fatto di cocaina; poi a una festa si era vestito da nazista; una volta si erano menati con William che gli aveva anche strappato la collanina; e altre cose di questo tipo.
Il libro contiene anche riferimenti molto intimi che è meglio tralasciare, e soprattutto una confessione che avrebbe fatto meglio a tralasciare lui, Harry. Quando era soldato in Afganistan, il principe dice di aver ucciso almeno 25 miliziani, e senza rimorsi, perché per lui quegli uomini erano come delle pedine. Questa volta la bomba gli è esplosa in mano: non lo hanno condannato solo gli afgani, che gli hanno fatto notare che quelli erano uomini con una vita e una famiglia che li piange, ma sono stati disgustati anche i suoi ex superiori, i commilitoni, e più degli altri Ben McBean, amico che in Afghanistan ha perso braccio e gamba, il quale non ha badato alle parole per dirglielo: «Harry, ti voglio bene ma adesso sta’ zitto per favore!»
Sì, un lungo silenzio gioverebbe molto al giovane principe e consorte, ma chissà come sono messi con i contratti con le televisioni, le case editrici, i giornali. Il fatto è che non sono più i tempi di Disraeli e neanche di Elisabetta, povera donna; questi sono i tempi dei lamenti e delle spiegazioni dati in piazza, a pagamento. Sono i tempi dei soldi, insomma. E del voyeurismo di massa.