Il «Qatargate» è una ferita gravissima alla massima istituzione della democrazia europea. Il Parlamento europeo è l’unico consesso sovranazionale al mondo eletto dai cittadini e dalle cittadine. Aver colpito la sua reputazione mette a rischio la sua missione fondativa; e accresce distacco, financo ripudio della politica tout court.
Lo sconcerto e la condanna che si sono prodotte nella coscienza pubblica si sono riflesse nella ferma determinazione della Presidenza e dell’aula di Strasburgo. Con la massima collaborazione con gli organi inquirenti, con la decisone di una propria commissione di inchiesta, con la destituzione della vice Presidente dal suo incarico. Nel rispetto di principi costituzionali per gli indagati e del compito della Magistratura ad accertare verità e giustizia.
Sì, è ancora da accertare definitivamente la responsabilità dei singoli o di un gruppo più esteso afferente la Istituzione. E se si tratti di corruzione o della più grave ingerenza di Stati esteri nei processi decisionali e legislativi della Ue. Quel che non può attendere gli esiti della indagine giudiziaria è l’urgenza della «politica in quanto tale» a scrivere e osservare regole più stringenti per separare funzione elettiva e attività mascherate di lobby a favore di interessi oscuri, sia interni che esterni alla Unione.
Al tempo stesso - senza operare improprie equiparazioni e generalizzazioni fra la gravità senza precedenti del Qatargate e altri episodi di distorsione delle funzioni elettive - lo scandalo impone una riflessione più di fondo sui caratteri che è venuta assumendo la rappresentanza istituzionale.
E riconoscere che la questione morale torna ad essere il discrimine fra una responsabilità pubblica esercitata con «disciplina e onore» e la corsa al potere istituzionale come fine ultimo della ambizione individuale di chi fa politica.E monitorare, senza scadere nel neoqualunquismo, la traccia di una logica mercatista che connota la rappresentanza come conservazione a tutti i costi di uno status privilegiato , fino - qui e là - all’arricchimento personale.
A questo deve porre argine la buona politica. A questo richiama la necessaria riforma dei partiti (possiamo chiamarli così?) contro la deriva personalistica. Limite dei mandati e alle porte girevoli, autorità esterne nel controllo delle spese elettorali, criteri di selezione delle classi dirigenti fondate sul merito e non sulla appartenenza ad una filiera di potere, debbono essere poste all’ordine del girono. E non derubricate subito dopo i fattacci con lo spegnimento dei riflettori mediatici. È il tempo del coraggio contro vento.
Fino alla reintroduzione del finanziamento pubblico secondo criteri accertati e controllati, e alla ridefinizione degli statuti delle fondazioni politico-culturali per la piena trasparenza dei loro bilanci.
La vulgata antipolitica che si è abbattuta anche nel nostro Paese, lungi dal contenere e sconfiggere la mala politica, ne ha generazione la sua diffusione. E prima della degenerazione morale, sta producendo il carattere sempre più ristretto e di censo della elezione e della rappresentanza. Sì, stiamo tornando alla elezione per censo, giacché chi ha soldi ha la maggiore chance di essere eletto. Non certo la unica chance, ma sempre più caratterizzante. Lo dimostrano studi e statistiche non smentite.
Da ultimo ancora sulla Ue. Bisogna perseguire la strada irrinunciabile della trasparenza e del rigore. Sarà un percorso difficile. Ma ci sono ancora grandi risorse politiche e morali al suo interno per reagire. È avvenuto già nel passato di fronte ad altre crisi, come il dimissionamento per corruzione della Commissione Santer nel ‘99, a cui successe Romano Prodi. Come pure vi sono movimenti europeisti che possono concorrere alla definizione di regole di vigilanza, controllo e sanzione di comportamenti illeciti.
E sarebbe altamente emulativo se ex leader politici e uomini di Stato seguissero esempi di eletti o di dirigenti politici che alla scadenza dei loro mandati si dedicano alla formazione politica e culturale, al volontariato nei sindacati, nei movimenti per la pace, nelle associazioni ambientaliste, nell’accoglienza dei migranti.
Insomma la speranza è che si possa dire di chi ha ruolo pubblico quel che Mario Tronti disse di Berlinguer per spiegare il segno che ancora oggi egli ci ha lasciato: «Si conoscono bene solo gli uomini che non sono niente di diverso da quello che appaiono». Infine, il rilancio della reputazione della Ue dipenderà molto anche dalla sua funzione regolativa.
Dalla scelta strutturale per la convergenza di politiche comuni. Per la difesa , il fisco, la transizione ecologica, il welfare. È stata questa combinazione di valori ideali e di promozione di prosperità economica e inclusione sociale che ha fatto grande l’Unione. A questa nuova altezza si gioca il suo futuro di fronte alle sfide dell’epoca nuova. Fra globalizzazione finanziaria che mette in circolo Stati autocratici e il dovere della tutela dei diritti umani ovunque; fra sfide per i primati commerciali e territoriali che portano alla tragedia della guerra e una nuova convivenza pacifica nella competizione fra sistemi.