Perché tanta gente del Sud che vive al Nord parla sempre di come il Sud sia migliore e che si viva meglio ma continua a vivere al Nord? Forse perché al Sud - lo dice l’Istat - si vive meno. Abbiamo il mare, il sole, le orecchiette. Non bastano, e inoltre il mare ce l’hanno pure i mangiapolenta.
Il dato che andrebbe analizzato senza isterismi è che secondo il report dell’Istat «Misure del Benessere equo e sostenibile» la speranza di vita alla nascita nel 2021 era al di sotto di Roma di circa un anno e sette mesi inferiore a quella al di sopra della Capitale, con 81,3 anni a fronte degli 82,9 dell’Italia centrosettentrionale.
La notizia ha creato non poco scetticismo. Eppure anche la forbice che si era ristretta all’inizio della pandemia con il Nord colpito più duramente nel 2020 con un picco di decessi, l’anno successivo si è riallargata con il Nord che ha recuperato quasi un anno di speranza di vita e il Sud che ha perso altri sei mesi. Siamo campioni: è come se in una gara sui 100 metri di corsa il meridionale partisse con un vantaggio di metà percorso per poi perdere con uno scarto di 50 metri. Resta fermo.
Vita e lavoro: il distacco tra la provincia con il più alto tasso di occupazione (Bolzano, 75,8%) e quella con il più basso (Caltanissetta, 40,8%) è nel 2021 di 35 punti percentuali in calo dai 40,5 nel 2019, ma un lavoratore dipendente nel 2020 aveva un reddito medio nella provincia di Milano di 29,631 euro, 2,7 volte quello di Vibo Valentia.
Quindi. Perché quelli del Sud che vivono al Nord parlano sempre di come il Sud sia migliore e che si viva meglio ma continuano a vivere al Nord? Magari, in tema di sanità ci sono disparità nell’offerta di servizi e nei risultati di salute raggiunti a livello territoriale e sociale. Per esempio tra Milano e Napoli sussiste una differenza di quasi tre anni in termini di speranza di vita, mentre tra le fasce sociali più povere del Sud e quelle più ricche del Nord la differenza arriva a dieci anni. Un dato allarmante è l'offerta di servizi e l’ammontare delle risorse destinate alla salute che differiscono in maniera notevole tra aree diverse. La spesa sanitaria pubblica pro capite, per esempio, pari in media a 1.838 euro annui, è molto più elevata al Nord rispetto al Sud: si va dai 2.255 euro a Bolzano ai 1.725 euro in Calabria.
L'aspettativa di vita è una presa d'atto di una situazione, ma non si ha la sicurezza dei meccanismi che portano a tali risultati; possiamo però estrapolarli indirettamente: la possibilità di vivere in maniera più o meno sana, la sanità, l'inquinamento e il tipo di alimentazione, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo. Ma rilevante è anche la presenza di adeguate strutture sanitarie. E questo significa non solo che al Nord ci sono più strutture, ma anche che funzionano meglio di quelle del meridione, dove esiste una cronica carenza di personale. Basta guardare le statistiche di sopravvivenza post-operatoria o l'accesso ai farmaci salvavita o ancora la gestione delle malattie croniche in età avanzata per vedere numeri nettamente divergenti.
Però è anche vero che non è possibile che prima lo Stato lo riduca in quelle condizioni, e poi ci si accorga che il Sud è sempre ultimo. Non si parla di spesa pubblica per sprecare, ma di spesa per i servizi. O almeno dovrebbe essere così sulla carta. A cominciare da sanità, scuola, trasporto, assistenza sociale. Proprio quei fattori che più incidono sulla qualità della vita e magari sulle aspettative della stessa.
Insomma ci si è convinti che il Sud vive male per colpa del Nord, assolvendo una classe dirigente locale spesso inconcludente, incapace, affamata di potere fine a se stesso, propensa alle magagne.
Eppure su quell’anno e sette mesi in meno resta lo scetticismo. Fin quando si aggiunge la notizia che l’ospedale «Dimiccoli» di Barletta sarebbe regolarmente operativo nonostante da giorni, in seguito ad un incendio, sia chiusa la terapia intensiva. E lo scetticismo d’improvviso scompare.
















