Non c’è crimine peggiore di un evento ingiusto e intollerabile, come quello accaduto a Civitanova Marche, dove un nigeriano è stato soffocato da un «fuori di testa» italiano (non c’è altro modo per definirlo), perché all’insano gesto si aggiunge rabbia, dolore e paura, suscita incredulità e avvilimento e genera sospetti sull’estraneità di chi ha assistito all’omicidio, senza battere ciglio. Anzi, chi era presente, è stato freddo e cinico, tanto da riprendere con il telefonino quel piccolo massacro perpetrato ai danni di un innocente malcapitato.
Chi assiste impunemente a un evento delittuoso non solo deve intervenire per un senso di umanità, ma anche per un dovere civico, e comunque non comprende che così facendo si rende corresponsabile del crimine, perché omettere di intervenire significa in qualche modo compartecipare all’evento stesso, non impedendo che accada. Dietro quanto avvenuto nella cittadina marchigiana, si può intravedere tutta la storia di una Nazione che ha ancora molti problemi di natura sociale e fanatismo irrisolti, nonostante abbia una vasta classe medio alta in grado di creare opportunità e di abbattere barriere di pregiudizi.
La morte dell’ambulante africano é la diretta conseguenza di come questo ceto elitario ben inserito nel tessuto sociale non si batta più per le minoranze e i diseredati e si interessi poco dei quartieri degradati. Questo clima di trascuratezza e di disaffezione alimenta i preconcetti verso la popolazione di colore e spesso si trasforma in gravi episodi di violenza come quello sfociato nella morte del nigeriano. L’attuale crisi aggravata dalla pandemia mondiale ha ingigantito ancora di più il profondo divario sociale esistente nei confronti dei gruppi extracomunitari. Si è riusciti ad avere una crescita sociale, ma non si è stati capaci di estirpare radicalmente l’odio razziale, quel sentimento viscerale, criminoso che ancora oggi serpeggia e resiste nelle menti della gente e che stravolge le loro coscienze colme di convinzioni discriminanti. Dopo questo episodio di violenza gratuita, ci si è resi drammaticamente conto del nuovo e crescente malessere collettivo e si sono riscontrati un’insoddisfazione e un serio risentimento che sembravano assopiti.
Di fronte a questa inaudita e assurda brutalità il Paese deve rialzarsi e riprendere il cammino della forza morale e della nonviolenza, far nascere lo spirito della fratellanza e della solidarietà ed evitare che il muro dell’emarginazione diventi insormontabile. L’impegno pubblico prioritario deve essere quello di eliminare le disuguaglianze estreme, svegliare gli animi addormentati e uscire dai recinti mentali che escludono gli altri e debellare il virus del razzismo che sconvolge il cervello. Deve scomparire l’odio nei confronti del diverso, della persona di colore, perché non è un sentimento spontaneo, ma ha radici storiche, che devono essere estirpate.
Nei momenti di emergenza, d’impoverimento diffuso, della precarietà più devastante, nel disagio sociale più sofferto e dell’incertezza delle prospettive future si va alla ricerca di «capri espiatori», che è stata sempre in questi casi la formula più utilizzata. Discriminazione e xenofobia sono più diffuse di quanto si potesse pensare; si è anche scoperto che segregazione è un modo di percepire, amplificato da un uso spregiudicato dei media e dal linguaggio di campagne basate sulla sicurezza e propagato da una politica tesa più a escludere che a includere. Si è creato silenziosamente nelle fasce medio alte della popolazione un «razzismo democratico» fondato sull’idea che tutte le intolleranze siano uguali. Non ci si deve tuttavia far coinvolgere dal clima della vendetta; occorre, al contrario, rovesciare la sensazione di frustrazione in speranza e far rinascere un sentire collettivo libero da incrostazioni ideologiche e a scacciare dai cuori delle persone le impurità razziali ataviche.