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Il coraggio, il rispetto, la pietà: una scelta «moderna» nella Puglia del lutto arcaico

 
Andrea Di Consoli

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Andrea Di Consoli

Sul fine vita la politicalascia campo ai giudici

Il fatto che sia stata la Regione Puglia a pronunciarsi a favore del «fine vita» testimonia ancora una volta quanto questa terra sia capace di impastare, sia pure con magnifiche contraddizioni, antico e moderno

Mercoledì 27 Luglio 2022, 14:08

La Puglia e la Basilicata sono tra le terre più studiate dal punto di vista dei riti funebri e dei pianti rituali. Da noi la morte è stata un’ombra costante che ha segnato in profondità le preghiere, le abitudini, i pensieri, il modo di essere. Si potrebbe dire, senza esagerare, che da noi la morte è stata per secoli una vera e propria ideologia. La malattia, l’agonia e la morte erano vegliate da un’intera comunità, e quando qualcuno moriva l’intera comunità rimaneva a lutto per giorni, proibendosi piaceri abituali. Tutto questo è avvenuto per secoli, con uno straordinario sincretismo tra riti pagani e riti cristiani. Con la crescente laicizzazione e secolarizzazione della società, anche in Puglia e Basilicata la malattia, l’agonia e la morte si sono spogliate delle consuete ritualità, cedendo il passo a un approccio più laico e scientifico.

La cosa paradossale è che la terra più arcaica da un punto di vista dell’ideologia della morte e del lamento funebre è anche la prima ad aver legiferato sul cosiddetto «fine vita». Infatti la Commissione Sanità della Regione Puglia – ripeto, la prima Regione in assoluto in Italia – ha espresso parere favorevole alla legge sul «fine vita». E questo è un gesto di straordinario coraggio politico, perché prendere posizione su questa materia significa esporsi a critiche sostanziose, specialmente da parte del mondo cattolico. E in un quadro politico dove tutti tendono al «centro» o finanche alla «radice cristiana» legiferare su una simile tematica è perlomeno rischioso.

La Conferenza Episcopale Pugliese ha subito diramato un comunicato molto pacato e garbato, anche se fermo nel richiamare tutti alla prudenza e all’applicazione delle leggi già in vigore, e questo fa capire quanto sia stata coraggiosa la votazione della Commissione Sanità della Regione Puglia.

Il tema del «fine vita» non è questione che possa essere affrontata con posizioni perentorie o ideologiche. Troppe sono le questioni morali e giuridiche che una simile tematica apre, rendendo necessaria una riflessione articolata e serena, il più possibile condivisa. Ma un dato di questa modernità sembra certo: un sempre maggior numero di persone non riesce a dare un senso al dolore estremo e liminare, ovvero alla sofferenza che provoca la malattia senza guarigione – non tutte le malattie sono guaribili, ma tutte le malattie sono curabili, nel senso della cura, perlomeno umana. Di fronte all’agonia l’uomo moderno trema, è assolutamente disperato, e non riesce a darsi nessuna riposta e nessun conforto. In quel momento estremo egli è nell’assoluta solitudine e nell’assoluto dolore, e quella vita che non è più vita perde totalmente di senso, tanto che tutto diventa preferibile a quell’inferno, finanche la morte, ovvero il definitivo nulla.

Nessuno si approcci a questa materia con spirito divisivo o ideologico, perché in ballo c’è la nostra capacità di reggere il dolore, di dargli un senso. E in una società sempre più laica e secolarizzata è assai difficile dare senso all’agonia. Anche se vanno ascoltati con grande rispetto quanti lottano strenuamente in difesa di quella che potremmo definire «sacralità della vita», perché quella sacralità, in un modo o nell’altra, la sentiamo tutti, anche chi ha visioni materialistiche.

Ma va anche detto con crudele realismo che nel dolore senza speranza non c’è niente di edificante. Chiunque abbia una certa età ha fatto esperienza diretta delle atrocità della vita che si spegne tra sofferenze ineffabili, e in quei momenti sono certo che davvero pochi vi abbiano ravvisato una luce, una rotta, un significato recondito di vita. Certe agonie sono semplicemente orrende, e credo che l’uomo moderno – laico e secolarizzato – avrà sempre meno strumenti morali e psicologici per affrontarle con l’antico fatalismo stoico e rassegnato dei nostri avi.

Il fatto che sia stata la Regione Puglia a pronunciarsi a favore del «fine vita» testimonia ancora una volta quanto questa terra sia capace di impastare, sia pure con magnifiche contraddizioni, antico e moderno. Non sfuggirà, per esempio, che questa posizione assai avanzata del Consiglio regionale pugliese viene presa in una terra dove sono più che mai vivi riti e tradizioni religiose assai sentiti dal popolo profondo.

Ma quando si parla di leggi sulla malattia, sull’agonia e sulla morte non si può e non si deve mai parlare di «vittoria». Perché di fronte al dolore assoluto e all’assurdo mistero della vita non si vince mai, al di là di come la si pensi «politicamente». Su questi temi, dunque, prevalga sempre una pacata e rispettosa pietas, perché in ballo c’è la nostra miseria, e lo spavento per un dolore che non sappiamo più reggere sulle nostre fragili spalle di uomini moderni segnati dalla «ragion scientifica», che però non riesce ancora a dare risposte alle nostre disperate «domande ultime».

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