In una bella sequenza de Il mio amico Einstein, un film per la televisione del 2008, quello che diventerà «Sir» Arthur Eddington, l’astrofisico inglese che avrebbe dimostrato la fondatezza teorica delle scoperte di Albert Einstein sulla relatività generale, in un moto d’esaltazione sparecchia la tavola dove si sono appena seduti sua sorella Winni e l’amico collega Frank Dyson (suo il segnale orario di Greenwich): ai due chiede di tenere la tovaglia sospesa per i lembi, quindi vi getta sopra una pagnotta e chiede loro cosa vedano.
Eddington ha appena ricevuto una lettera da Albert Einstein e ha capito che la curvatura dello spazio-tempo è ciò che spiega la forza di gravità: se la tovaglia è lo spazio e la pagnotta un corpo celeste, questa deforma lo spazio intorno a sé, e se sul bordo della tovaglia-spazio si getta ora una mela, con una massa molto inferiore a quella della pagnotta, la mela girerà ellitticamente per un po’ prima di precipitare sul corpo di massa-gravità maggiore. Semplice, no? Se recuperate la sequenza, su Youtube, ne sarete ancora più convinti.
Tutto qui il genio di Einstein? Era così facile? La risposta ovviamente è «no», ad entrambe le domande. La capacità di Einstein di «vedere» gli esperimenti di pensiero rimane unica, e se un buon film riesce a darci appena un’idea di cosa significhi la convergenza di gravità e spazio-tempo, per capire veramente i principi della teoria della relatività forse non basta una vita di studi.
A pensarci, un’ovvietà. Se ci diciamo da diverso tempo che l’estrema specializzazione di ogni disciplina scientifica (ma perché, in Economia? nel Diritto?) rende sostanzialmente incomprensibile la biologia molecolare a chi si occupa di fisica delle particelle, non stiamo affermando, per quanto sconsolati, che la divulgazione dei saperi complessi è una necessità costantemente frustrata dalla sua effettiva possibilità? Pure bisogna provarci.
In quello stesso film, per altro, si racconta dell’obiezione di coscienza di Eddington – siamo nel pieno della prima guerra mondiale - un quacchero che dovrà subire la contestazione di non pochi xenofobi inglesi antipacifisti; nonché della fiera opposizione di Albert Einstein al germanico Manifesto al mondo civile degli intellettuali tedeschi sostenitori della guerra e, più che altro, alla sua denuncia dell’uso dei gas asfissianti al cloro nella battaglia di Ypres. La politica e la scienza si scontrano: la disputa tra la nuova teoria di Einstein e la tradizionale sistemazione di Newton, che «non possono avere entrambi ragione» diventa confronto tra la scienza inglese e quella tedesca: Einstein sarà cacciato dalla sua università, Eddington si opporrà al bando degli scienziati tedeschi da Cambridge giacché «la ricerca della verità nella scienza trascende i confini nazionali».
Viene fatto di pensare, da una parte alla collaborazione sulla ISS, l’International Space Station, messa a dura prova dal conflitto riusso-ucraino, dall’altra agli sforzi congiunti contro l’epidemia da Covid-19, che prima hanno permesso alla comunità scientifica internazionale di sequenziare il genoma del virus, e poi di approntare una campagna vaccinale in tempi che, altrimenti, sarebbe stato ardito anche solo immaginare.
Viene fatto di tornare alla lezione di uno dei massimi storici della scienza del secolo scorso, l’italiano Paolo Rossi: «Sono convinto che la storia abbia molto a che fare con le immagini della scienza (vale a dire i discorsi su ciò che la scienza è e deve essere) che sono presenti nella cultura. Sulla base di una determinata immagine della scienza […] vengono soprattutto scelti i problemi da risolvere entro la sterminata quantità di problemi che si presentano aperti ad un’indagine possibile. Ciò che appare oggi saldamente codificato e come tale trasmesso dai manuali di fisica o di biologia, ciò che appare oggi ovvio e naturale è invece il risultato di scelte opzioni, contrasti, alternative».
La guerra scoppiata nell’incredulità di molti di noi alla fine di febbraio, ci ha distratto da quella all’epidemia che ci ha accompagna dall’inizio del 2020: oggi, di nuovo, alcuni dati ci riportano alle preoccupazioni degli ultimi 30 mesi. E anche alle dispute e alla difficile divulgazione di temi e concetti per comprendere i quali, è giusto ricordarlo, non basta una vita di studi.
Ma per decidere, invece, sulle politiche da adottare, sulla scelta dei «problemi da risolvere entro la sterminata quantità di problemi che si presentano aperti ad un indagine possibile», è sufficiente, e necessario, allenare una cittadinanza attiva e scientificamente informata. Non che sia facile, ma bisogna discutere le opzioni, far emergere i contrasti, sollecitare la comprensione delle alternative. La politica deve coinvolgere i cittadini in un grande quanto ineludibile sforzo di elaborazione di ciò che «la scienza è e deve essere», e in quale tipo di società.
Intuire il significato del «campo di Higgs» non è impossibile, ma al più ci si avvicina per metafore e analogie; decidere in quali campi del sapere e della ricerca impegnare i fondi pubblici, è un’emergenza democratica.