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Zalone sulla barca dell'oligarca porta tutti noi

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Checco Zalone e la sindrome del possesso

Chi è dunque Zalone, in un tempo in cui gli intellettuali rinunciano a scandagliare i territori inesplorati del «pensare differente»?

Martedì 31 Maggio 2022, 13:48

C’è voluta la consueta ballata estiva di Checco Zalone per mettere in discussione il grigiume conformista su guerra, sanzioni e sequestri di yacht. Sulla barca dell’oligarca è una originale filastrocca nazionalpopolare, tutt’altro che qualunquista, dove il furbastro Di Ciolla Nicola, protagonista della narrazione musicale, è solo la trasfigurazione di chi surfa l’onda del pensiero unico, salvo ritrovarsi spiaggiato, dalla realtà.

Tocca dunque a Zalone rinverdire la traduzione della commedia classica, e Di Ciolla potrebbe ben diventare una maschera di Plauto, perché ogni verso della canzone è un fescennino post-ideologico, uno sberleffo ai sapientoni da talk-show, ai campioni del nullismo mediatico introdotto dal pletorico «ora mi lasci parlare».

Chi è dunque Zalone, in un tempo in cui gli intellettuali rinunciano a scandagliare i territori inesplorati del «pensare differente»? Ci aiuta una definizione di Gennaro Nunziante condivisa con chi scrive: «Il nostro (Zalone, ndr) è una maschera tutta italiana, alla Alberto Sordi, che racconta pregi e difetti, virtù e manie degli italiani. Il rimando è alla commedia italiana. Il riferimento internazionale, invece, può essere nella leggerezza di Peter Sellers a cui si avvicina per l'abilità nelle imitazioni. Zalone è un puro. Citando Ennio Flaiano, “non è stato rovinato dalle buone letture”, è del tutto privo di sovrastrutture». E così le note generano i sorrisi e quest'ultimi ribaltano i luoghi comuni sulla virologocrazia dal palco di Sanremo, mentre adesso smontano la retorica del posizionamento semplicistico, da divano, formula «a prescindere», sulla guerra, senza misurare storie, effetti economici e dinamiche imprevedibili nello scacchiere internazionale. Ha la forza genuina dalla critica antiborghese, senza pesanti perifrasi politologiche, ma corroborata da battute folgoranti, come fece magnificamente ridicolizzando l’islamofobia dei neo-con con l’attentato al Duomo di Milano sventato per gli effetti collaterali di una impepata di cozze (nel film cult Che bella giornata). O quando sugli schermi Mediaset, al tempo della fervida amicizia tra Re Silvio e lo Zar, strimpellò l'elegia del «lettone di Putin». Con un paio di versi, dunque, Checco Zalone sintetizza un servizio di Report dove si ricorda che va bene sequestrare gli yacht agli oligarchi, ma poi il conto dei servizi portuali alla fine non viene spedito in Russia, ma pagato dagli italiani...

Nella nuova hit del menestrello geniale di Capurso c’è quella che Pietrangelo Buttafuoco definì «la meraviglia stupefacente dei personaggi del presepe, che riesce ad essere sintesi perfetta di una identità tra conformismi e anatemi delle chiese obbligate». Sembra solo una canzonetta, mentre potrebbe benissimo essere l’editoriale, ci perdoni Lucio Caracciolo, del nuovo numero della rivista di geopolitica Limes

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