Chi avrebbe immaginato, alle soglie degli Anni 2000, che l’effervescenza edilizia in remote periferie di remote città statunitensi avrebbe scatenato la crisi dei subprime? Quanti avrebbero saputo indicare su una carta geografica la città di Wuhan, epicentro del Covid? E quanti le città di Luhansk e Donek nel Donbass? D’altra parte, quando, nel 1991, abbiamo visto arrivare i primi profughi albanesi sulle nostre coste, quanti di noi hanno pensato che si trattava di un’avanguardia seguita per quindici anni da decine di migliaia di migranti da tutto il Sud-Est del mondo? Da nessuno di questi eventi e da molti altri il Mezzogiorno e la Puglia possono dirsi estranei. Dalla lettura di Franco Cassano abbiamo appreso molte cose e tra queste che dalla periferia si può osservare meglio l’insieme e non solo il centro della scena (su e giù da Roma, insieme ad altri parlamentari cadenzavamo il tempo d’attesa in aeroporto su umanesimo, lezione meridionalistica, impegno politico).
Basta a dimostrarlo la «Vlora» che entra maestosamente nel porto di Bari l’8 agosto 1991? Da questa remota regione abbiamo visto Lehman Brothers chiudere i battenti nel settembre 2008? Che cosa abbiamo pensato quando il virus partito da una lontanissima plaga cinese ha bussato alla porta delle nostre case? Cosa poteva importare a noi una rivolta separatista scoppiata nell’aprile 2014 nell’estremo orientale dell’Ucraina? Troppo ovvio dire che in questa sequela di catastrofi ci siamo dentro al pari di ogni angolo del mondo. Ciascuno nella sua misura. Ma qual è la nostra di misura? Ora monta un vasto chiacchiericcio sull’impiego dei fondi del PNRR mentre ancora avremmo un bel po’ di fondi europei da impiegare. Per fare cosa? Certo ci sono le linee-guida e queste vengono recitate come rosari. La vulgata, ancora una volta, è «colmare il divario». Quale? In quali settori? Con quali priorità? Con quali risorse amministrative, imprenditoriali, sociali? Il paradosso di avere il pane ma non i denti. Una rispettabile ministra della Repubblica è venuta fino a Bari a parlare di Zone Economiche Speciali. Ben vengano! In Irlanda la prima ZES fu costituita nel 1959, in Portogallo nel 1980, in Polonia nel 1994. Evidentemente l’Italia non ha fretta e la Puglia nemmeno.
Intanto all’incremento dei prezzi energetici, di alcuni prodotti agricoli e di alcune materie prime si aggiunge una prevedibile turbolenza sui mercati finanziari e un’elevata volatilità di alcuni tassi di cambio. Nel dibattito politico pugliese di tutto questo non sembra esserci traccia. Le crisi sono sempre una catastrofe ma anche un’occasione per ripensarsi, per esercitare uno sguardo critico sul nostro modello di sviluppo. Il rischio dell’ennesima «crisi sprecata» incombe.