Sabato 06 Settembre 2025 | 12:30

La ragione sconfitta dalle immagini dell’orrore ucraino

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

La ragione sconfitta dalle immagini dell’orrore ucraino

Non solo corpi di persone massacrate, sono anche cadaveri oltraggiati e vilipesi. Vediamo con gli occhi il racconto della morte per la morte, non per la guerra

Sabato 09 Aprile 2022, 17:51

«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto…», così parla il vecchio Simeone nel tempio. Ha guardato finalmente il Messia e può morire in pace. Nell’atto del vedere è trasfusa la sazietà della vita e l’essere pronti a lasciare questo mondo.

Da settimane vediamo soprattutto le immagini che giungono dall’Ucraina. Mostrano in tutta la loro terribile violenza il punto di barbarie cui può giungere l’uomo. Non solo corpi di persone massacrate, sono anche cadaveri oltraggiati e vilipesi. Vediamo con gli occhi il racconto della morte per la morte, non per la guerra. L’orrore fa sempre spettacolo e i media spesso cascano nelle sue trappole. In questi giorni l’impegno a raccontare ha superato più di un limite, mostrando immagini raccapriccianti, intervistando bambini sotto choc, calpestando la dignità di vittime indifese anche di fronte alle telecamere. Ci sono regole precise per i giornalisti e valgono in pace come in guerra. Sarebbe il momento che chi ha il dovere di farlo lo ricordasse: l’Ordine professionale, il garante per la privacy, dal quale è arrivato solo un timido appello, le tante associazioni a difesa dei diritti umani. Perché dobbiamo rispetto alle vittime, perché è un atto di quella pietà che gli invasori non hanno avuto, perché quelle immagini non le vedono solo adulti più o meno consapevoli, ma anche bambini e adolescenti e nessuno sa che cosa possono scatenare nelle loro teste.

La guerra - ogni guerra - rappresenta una sconfitta della ragione e del senso di umanità. Ma da sempre si fanno guerre. In teoria dovrebbe essere uno scontro fra eserciti, nella pratica ci vanno di mezzo tutti coloro che sono sul campo di battaglia.

Sono anziani, donne, bambini, malati, disabili: i cosiddetti «civili». È giusto chiamarli così, per sottolineare l’inciviltà di chi li colpisce. E da giorni ormai vediamo tutto questo. Eppure, anche di fronte alle immagini più eloquenti c’è chi si ostina a non credere, a sostenere le ragioni dell’inciviltà. La libertà di pensiero è una grande opportunità per gli esseri umani. Essa è quasi sconfinata, l’unico limite lo trova nel principio di realtà.

Siamo reduci da due anni di sofferenze. L’opulenta società occidentale, con l’alto tenore di vita, la supponenza tecnologica, l’incipiente egoismo, si è ritrovata spiazzata e ferita da un nemico sconosciuto che ha colpito nell’ombra. Un essere invisibile a occhio nudo. Per prenderne consapevolezza abbiamo avuto bisogno della sua immagine al microscopio e abbiamo visto quella strana pallina con tante piccole ventose. Abbiamo visto gli ospedali pieni e le ambulanze in coda; abbiamo visto ansimare anziani senza più fiato sotto i caschi dell’ossigeno; abbiamo visto gli obitori sempre più pieni e le bare portate vie nella notte. Abbiamo visto la morte che avevamo rimosso e abbiamo creduto. Ma non tutti. Come non tutti ora credono alle foto e ai filmati che arrivano da Bucha o da Mariupol, da Borodyanka o da Kharkiv. Certo, abbiamo imparato che proprio con le immagini si possono costruire le bugie più efficaci, le notizie più false. Ma quando quelle immagini sono vagliate, verificate e testimoniate da gente in carne e ossa come i giornalisti che sono sul posto, allora il legittimo dubbio sfocia nella hybris, nella tracotanza di ritenersi depositario di una verità che va al di là dei fatti. Rifiutare la realtà o sfumarla miscelando elementi veri ed elementi falsi fa comodo, è uno dei meccanismi più sofisticati elaborati dalla mente umana per uscire dalle difficoltà. Quando è una patologia va curata, quando è una copertura alle mire politiche, ai propri privilegi, alle proprie comodità, semplicemente alle proprie idee, allora è una menzogna inaccettabile. Sia sotto il profilo morale che sotto il profilo della responsabilità.

Pensavamo che dopo i due anni con l’insidia del virus - che non è vinto, ma anzi sta tornando a colpire - avremmo avuto giorni più sereni, in cui poter tornare alle abitudini di sempre e, invece, siamo sopraffatti da nuove immagini di morte. Scene che pensavamo avremmo visto solo in qualche kolossal al cinema e certamente non nella ricca, colta e moderna Europa. Invece no, quei corpi straziati bucano gli schermi della tv e le pagine dei giornali. Hanno soppiantato anche il macabro bollettino quotidiano della pandemia, del quale abbiamo imparato a neutralizzare lo «scandalo»: i cento e passa morti giornalieri non fanno più notizia. C’è un’assuefazione alla morte che porta progressivamente a cancellarla dal nostro orizzonte. Anche quando la vediamo con gli occhi in quei corpi martoriati. Non basta dire è la guerra. È la fine di ogni residuo senso morale. Ma non ce ne rendiamo conto, perché la morale non la possiamo vedere. Anzi no, al contrario del vecchio Simeone, non vogliamo vedere.

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