Esiste dunque un giudice a Strasburgo! Mutuando la famosa espressione legata al teatro di Bertolt Brecht («Ci sarà pure un giudice a Berlino»), c'è da raccontare oggi la storia di un diritto umano violato che ha trovato giustizia. Non è una storia a lieto fine, perché una sentenza - purtroppo - non riporta in vita nessuno. Nemmeno il bambino di un anno ucciso dal padre violento sotto gli occhi di Annalisa, la mamma che ha lottato con tutte le sue forze contro i soprusi del compagno killer e i ritardi della giustizia. Ora che la Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia per non aver protetto questa donna sfortunata e i suoi figli, una piccola e triste vittoria c'è. Per lei e per chi vive l'incubo della violenza domestica.
I fatti. Tutto accade nel settembre del 2018, nel paese toscano di Scarperia, vicino Firenze. Annalisa è vittima di un amore sbagliato, un uomo con cui vive e dà al mondo due bambini, ma che si rivela violento, irascibile, incontrollabile. Lo denuncia per ben tre volte, dopo altrettante aggressioni. I carabinieri sollecitano un provvedimento del giudice, ma non avviene nulla, tanto che l'inferno in casa continua senza sosta. Un giorno, il piccolo Michele piange più del solito, come fanno a volte i bimbi di un anno. Ma il padre s'innervosisce, litiga con la compagna, prende un coltello dalla cucina lo lancia contro di lei, che riesce a sfuggirgli e a rifugiarsi sul balcone con i bimbi. Ma lui arriva, strattona la figlia e ferisce Annalisa e il piccolo che lei cerca di proteggere tra le braccia. Tutti feriti, ma il bambino non ce la farà e morrà dopo poco in ospedale a causa delle coltellate inferte.
Come sempre succede, l'orrore di questa famiglia diventa ufficialmente un orrore solo dopo il fatto di cronaca nera. Gli inquirenti si accorgono finalmente che esiste una donna perseguitata, capace di denunciare per tre volte il compagno e di chiedere inutilmente che fosse allontanato, arrestato, che gli si vietasse di fare ancora male a lei e ai bambini. Fino al fatto di sangue, invece, nulla, solo silenzio e attesa. Un'indifferenza che la Corte di Strasburgo ha rimarcato, condannando il nostro Stato perché non ha protetto come avrebbe dovuto e potuto Annalisa Landi e i suoi figli. La mancanza di azioni immediate viene considerata alla base della violazione del diritto alla vita del piccolo e della donna. E il dito della Corte è puntato soprattutto in direzione della magistratura «rimasta passiva di fronte ai gravi rischi che correva Annalisa». Questa passività, afferma sempre Strasburgo, ha permesso all’uomo di continuare a minacciare e aggredire la sua compagna senza alcun ostacolo e in tutta impunità. Quante donne conoscono questa realtà?
La tragedia poteva essere evitata. Lo dicono gli stessi giudici di Strasburgo, affermando che la magistratura, mettendo in atto tutte le misure previste dalla legge italiana, avrebbe dovuto agire immediatamente. Per i togati di Strasburgo, le autorità avevano sufficienti elementi per intervenire. Le carte che compongono il fascicolo sono quelle che tutte le famiglie infelici ben conoscono: le aggressioni denunciate, i carabinieri che sollecitano più volte l’intervento del giudice. Il nulla che segue a queste denunce di Annalisa avrà pure avuto i suoi motivi (ritardi? carenze di organico?), ma i giudici della Corte guardano ai diritti umani ed è giustamente da quelli che si deve ripartire. Soprattutto in questi tempi terribili, in cui le immagini della Tv ci raccontano di abusi inguardabili vicino e lontano da noi. La guerra non è fatta solo di missili internazionali; a volte è anche dentro le famiglie che finiscono nel vortice pericoloso della violenza. E che in uno Stato «normale» hanno diritto a un diritto.
In questa storia, c'è un particolare «maschilista» in più da sottolineare. Secondo quanto ha riferito il legale della povera Annalisa, lo Stato italiano aveva portato vari elementi in sua difesa. Ci mancherebbe, ha fatto benissimo. Ma ce n'è uno che mette i brividi: tra le argomentazioni difensive, era stata portata una rimessione di querela che la donna aveva presentato nei confronti del convivente. Un gesto che molte vittime compiono, vuoi per paura, vuoi per quell'amore sbagliato che alla fine travolge tutto e tutti, che annulla anche il buonsenso. E questo si sa: ne parlano persino le fiction. Lo sanno anche e soprattutto i giudici, quelli che la Corte di Strasburgo ha tacciato di inerzia. Sì, la debolezza della sottomissione è anche il perdono e forse ci sarà cascata anche Annalisa, credendo che quell'uomo sarebbe cambiato. Poi le botte, ancora grida e botte, con le denunce inascoltate. Fino al giorno delle coltellate.
Ora, a questa donna restano poche cose. Un figlio morto, ucciso dall'uomo che ha amato e odiato. Una sentenza della Corte per i Diritti umani. I 32mila euro di risarcimento per danni morali, che nulla possono fare. Le resta però la speranza che la sua storia amara possa costituire un precedente e far sì che altre donne come lei siano ascoltate, seguite, aiutate. E che ci sia per ognuna un giudice a Berlino, a Strasburgo, a Roma, a Bari. Con una mano tesa per tirarle fuori dall'incubo.