Eccosì, dal momento che di nuovo se ne parla – vedi il recente convegno a Torino, «Riscoprire Carlo Levi a 120 anni dalla nascita» –, mi son deciso a leggere Cristo si è fermato a Eboli; per intero. Appassionandomene addirittura. All’inizio, per quel senso di mistica solitudine che lo pervade; la luce netta degli scorci, l’incanto dei notturni – «La luna riempiva il cielo e pareva si versasse sulla terra» –, ma poi, e forse anche più, dopo aver sobbalzato su certi passaggi, al pensiero di cosa sarebbe successo se, il suddetto capolavoro, fosse uscito con un’altra firma oggi, quando bastano una battuta o una desinenza inappropriate per finire alla gogna. Così è stato come leggerlo con accanto un woke, uno cioè di quegli implacabili guardiani del politically correct.
Iniziamo da Aliano. Quando Levi vi arriva, gli appare come «imbandierato per una festa della Morte». È il paese del «ninte»: niente fiori, niente alberi – e proprio niente e nessuno gli piace. Da confinato, ovviamente disprezza il podestà e la sua cricca; ma non salva proprio nessuno tra i notabili, nemmeno tra i medici e i farmacisti, al Sud quasi sempre colti e liberali. Qui, no. Qui son tutti avidi, meschini, ignoranti. Persino l’arciprete, invece che il consueto «fratacchione» bon vivant, è un sordido miserabile. «Stava mangiando con la madre: avevano in due un solo piatto e un solo bicchiere [e da] quel suo unico bicchiere che doveva aver servito per anni, senza mai essere stato lavato a lui e alla vecchia, a quanto potevo arguire dalla gromma unta e nera che lo incrostava tutto attorno», Levi è costretto a bere il vino che gli offre, per non offenderne l’empito d’ospitalità. Ennò dai, è davvero troppo! Ma non è che sto Levi ce l’ha su coi terroni!, sussulta il mio personal woke, talmente indignato da lasciarsi sfuggire una parola «vietata». Tanto più che, come sempre più indignato mi fa notare, a Levi, al progressista Levi, non piacciono nemmeno i contadini!
Attraverso la lente del suo bizzarro teorema – «Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale» –, essi gli appaiono, infatti, come una cupa massa indistinta. «Il loro colore è uno solo, quello stesso dei loro occhi tristi e dei loro vestiti, e non è un colore, ma è l’oscurità della terra e della morte». Così, privi di ogni senso della Storia, possono vivere eventi epocali come la Grande Guerra senza, ad appena vent’anni, mantenerne la benché minima memoria. «Nessuno me ne parlava mai, né mai si faceva cenno a quella guerra [...] Nessuno usava vantare le proprie glorie, raccontare ai propri figli le battaglie combattute» – e qui, il sussulto l’ho avuto io. Ma come, ma allora i racconti di Gaetano Cappelli (mio nonno), e le dispute arruffate con i suoi compagni d’armi che, nelle eterne estati in paese, da ragazzino, mi entusiasmavano più delle avventure del Grande Blek? Dai, gli sarà scappata!, ha ribattuto stavolta il woke, stranamente accomodante. Non fosse che subito gliene scappa un’altra, a Levi dico, e va a farla al pisciatoio in piazza, e certo non ci sarebbe nulla di male senonché, di solito, ignorandone l’uso precipuo, ci giocano, buttandoci dentro le barchette, i fanciullini. «Una sola persona lo usò spesso per l’uso per cui era stato costruito; e quella persona ero io: e non lo usavo, debbo confessarlo, spinto da bisogno, ma mosso dalla nostalgia».
Oddioddio, stavolta, per rimanere in tema, l’ha proprio fatta fuori dal vaso. Il woke inizia infatti ad urlare Telefono azzurro! Adesso telefono al Telefono Azzurro, all’Unicef, al cismai. Vabbè, è una roba di tanti anni fa, cerco di ammansirlo io. Ma lo convinco solo prospettandogli l’individuazione di altri eventuali oltraggi contro noi diversamente italiani. E andiamo avanti, e dopo duecento pagine inzeppate di malati dolenti (che Levi, bisogna dire, si prodiga a curare), processioni, santi taumaturghi e inoltre licantropi, caproni indemoniati, donne-vacca e streghe che neanche nelle Cronache di Narnia, finalmente qualcuno si diverte. I contadini ballano! È infatti Natale e, pure se la loro, non è che un’«animalesca tarantella», entrambi, io e il prode woke, sospiriamo sollevati: ah, lo vedi! Il Cristo si sarà anche fermato ad Eboli ma lo festeggiano lo stesso. Ecche bello, nevica! O meglio, sarebbe bello ovunque. Qui no. Qui la terra era «piena di neve e di abbandono», e «il vento portava il lugubre suono della campana». Ma si cerca comunque di tenersi su col morale. I bambini vanno in giro per la questua suonando i «cupi-cupi» [sic] e i contadini e le mogli portano i regali alle case dei signori, perché qui, pensate un po’ dice Levi, «è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi, e rechino i doni». Adesso però, sono io a non trattenermi e gli rispondo, ehi bello!, ma perché a Torino è diverso? A Natale, al tuo medico, ai tuoi mentori, non glielo portavi un presente? Ma anche il woke s’è impuntato: questa è appropriazione culturale, lo accusa! In quanto piemontese, non dovevi permetterti di raccontare le tradizioni del Sud, senza capirci oltretutto una ceppa! Ma poi è mai possibile che le meridionali siano tutte, indistintamente, delle ciospe terribili e con un’unica assillante idea per la testa: farti o sposarti?
E in effetti, ecco riapparirmele dalle pagine, «nere come sacchi di carbone» e certo baffute, e sempre pronte a servirgli uno dei loro «filtri d’amore» – caffè, vino o qualsiasi altro liquido «aromatizzato» al sangue catameniale. Ma lui niente, eh! Impassibile anche davanti alla «barbara e solenne bellezza» della Santarcangiolese. Preferisce, infatti, spennellarsi i suoi quadri. Uno, prima di partirsene, lo lascerà «in ricordo» al comune di Aliano per tornarvi solo da morto; e non, com’è nella vulgata, per sua volontà. Ad esiliarvelo fu, questa volta, il nipote in modo che, disse, la sua presenza fosse d’auspicio alla rinascita del Sud; ma io sospetto perché essendo, il parente, architetto, non potesse esimersi dal disegnargli la tomba-monumento, in perfetto stile INA-casa, che ne è l’ultima imperitura dimora. Così il celebre scrittore che, da vivo, ad Aliano patì solo qualche mese, diventando immensamente ricco dopo averne raccontato la pittoresca miseria, è ora condannato a rimanere per l’eternità lì dove, scrisse, «Tutto mi era sgradevole». Eccosì sia!, se la ride malefico il woke. E una risata, lo confesso, me la faccio anch’io.