Sabato 06 Settembre 2025 | 07:01

Papa Francesco a Mosca, solo Lui può fermare Putin

 
Michele Partipilo

Reporter:

Michele Partipilo

Papa Francesco

Correva l’anno 1962 e Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica furono a un passo dalla guerra atomica. Oggi, a 60 anni esatti, siamo nella stessa situazione

Venerdì 25 Marzo 2022, 12:09

Correva l’anno 1962 e Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica furono a un passo dalla guerra atomica. Oggi, a 60 anni esatti, siamo nella stessa situazione. Anzi un po’ peggio, perché allora a Cuba – al centro della crisi – c’era la fame, ma non si combatteva. Che cosa era successo? Il 14 ottobre il Kennedy viene informato che navi sovietiche si dirigono verso l’isola per piazzarvi testate atomiche di Mosca. Il presidente ordina il blocco navale. Nel frattempo 25 unità della Marina sovietica muovono verso l’area. Lo scontro, che innescherebbe la guerra nucleare, sembra inevitabile. Allora come oggi il problema principale è che nessuno dei due contendenti può perdere la faccia e fare il primo passo per tirarsi indietro.

Washington bussa al Vaticano: suggerisce un appello di Giovanni XXIII, il papa che pochi giorni prima – l’11 ottobre – aveva avviato il Concilio Vaticano II. Le parole della solenne cerimonia d’apertura e quelle a braccio nel famoso «Discorso alla Luna» avevano molto colpito i credenti e non solo. Giovanni XXIII accetta la sfida. Alle 12 del 25 ottobre legge alla radio il messaggio appena fatto pervenire per le vie diplomatiche ai leader di Stati Uniti e Unione Sovietica. «Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace! Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze». L’appello ha successo.

Oggi papa Francesco, con un ruolo politico non paragonabile a quello di Giovanni XXIII di 60 anni fa, ha già lanciato diversi appelli in favore della pace. Tutti inascoltati. Come inascoltato rimarrà con ogni probabilità l’invito rivoltogli dal presidente ucraino Zelensky a recarsi in visita a Kiev. Francesco non vuole sbilanciarsi verso uno dei contendenti per mantenere credibile il potere di mediazione della Santa Sede, anche se col cuore non può che essere dalla parte degli oppressi, dei bambini in fuga, delle madri senza più lacrime. Il gesto forte che ha scelto di fare è religioso e dal grandissimo valore simbolico: consacra la Russia e l’Ucraina alla Vergine Maria. Un gesto compiuto per l’Unione Sovietica da papa Wojtyla nel 1984, dopo una richiesta ricevuta da suor Lucia, una delle tre veggenti delle apparizioni mariane a Fatima. Analoga consacrazione della Russia compiono Benedetto XVI nel 2010 e papa Francesco nel 2013. Ora, se la Vergine vorrà, potrà stendere la sua mano e fermare questa inutile strage. Ma ogni intervento divino ha bisogno di uomini e donne di buona volontà per realizzarsi, dunque occorre costruire le condizioni perché questo avvenga.

Fino a oggi tutte le mediazioni sono fallite, perché velleitarie, perché condotte da mediatori sbagliati, perché non hanno individuato le questioni essenziali al centro del conflitto. A più di un mese dalla guerra, Putin appare isolato, le operazioni militari vanno male e l’esercito sta rimediando una storica figuraccia, impantanato e con decine di migliaia di soldati uccisi. La responsabilità principale sembra degli 007 russi: hanno raccontato un’Ucraina molle, pronta a cadere e con i suoi generali disponibili al golpe. La domanda è: l’hanno fatto solo per compiacere lo «zar», così come si è detto all’inizio, o c’è dietro un progetto?

Per evitare un conflitto nucleare e una rivolta degli stessi russi, ogni giorno sempre più alla fame, un minuto prima che si scateni l’olocausto nucleare diventerebbe legittimo deporre Putin e i suoi fedelissimi. L’Ue e gli Usa approverebbero, l’isolamento russo finirebbe, la gente tornerebbe al benessere perduto e svanirebbe ogni rischio di guerra civile. Fantapolitica? Può darsi. Ma se non si vuole partecipare a questa scommessa diabolica, bisogna fermare prima il leader russo. E per farlo c’è un solo modo: consentirgli una via d’uscita dignitosa, salvargli la faccia dopo lo schiaffo europeo, il fiasco militare, il «tradimento» dei servizi. Solo a queste condizioni potrebbe avviare una seria trattativa.

Che cosa può smuovere Putin e i suoi consiglieri? La consacrazione alla Vergine potrà ispirare papa Francesco e magari indurlo a compiere un gesto estremo, disperato, come disperato appariva quello di Giovanni XXIII: intraprendere un viaggio. Non a Kiev, come vorrebbe Zelensky, ma a Mosca, come nessuno si aspetta e come forse sarebbe malvisto dal presidente americano Biden. In tal modo sarebbe offerta allo «zar» quella occasione per un cessate il fuoco che non gli farebbe perdere la faccia. Accadrà? No, è impossibile che le cose vadano così. Però 60 anni fa accadde.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)