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Il teatro è immortale: anche sotto le bombe c’è voglia di vivere

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Il teatro è immortale: anche sotto le bombe c’è voglia di vivere

Il teatro di Mariupol bombardato

Il miracolo della gente di Mariupol uscita indenne dalle macerie del rifugio distrutto

Venerdì 18 Marzo 2022, 15:19

Cos'è un teatro? Il luogo dell'immortalità, la zona franca della vita. Nei tempi di questa assurda guerra, un teatro si trasforma anche in un rifugio antiaereo, sul quale gruppi di cittadini ucraini hanno messo grandi cartelli con le scritte «Bambini», pensando di poter fermare le bombe. E invece – crimine contro l'umanità – il teatro è stato bombardato lo stesso: sono crollati i muri, è esploso il tetto. Ma il finale a sorpresa, il colpo di scena, il coup de théâtre è che da quelle macerie le famiglie di Mariupol sono uscite vive. Tutti abbracciati, terrorizzati, ma sopravvissuti. «Vivi! Escono vivi!», ha scritto su Facebook il deputato ucraino Serhiy Taruta.

Siamo al ventiduesimo giorno di guerra; ci sarebbero già 20mila morti e 30mila sfollati; le bombe non si fermano e non si può nemmeno festeggiare la bella notizia dei 130 sopravvissuti in un teatro, che ospita opere e drammi e che adesso è immerso nel dramma vero di un Paese, di un universo insensato. Impossibile non pensare ad un'altra tragedia vissuta nell'Est, sempre in un teatro, sempre con i russi da una parte, mentre dall'altra c'erano militanti armati ceceni. Era l'ottobre del 2002. Ricordate quelle immagini terribili delle donne vestite di nero con addosso l'esplosivo? Accadde a Mosca, nel teatro Dubrovka, dove i separatisti ceceni assediarono e sequestrarono per oltre due giorni. Finì in un modo terribile: le forze speciali russe pomparono un misterioso agente chimico nel sistema di ventilazione, provocando la morte di 129 ostaggi e di 39 combattenti ceceni. Almeno questa dovrebbe essere una delle verità, perché – pensate – tra conferme e smentite – sia sul numero di civili, sia sull'uso di veleni, non è stata mai accertata la responsabilità del governo di Putin, che ha sempre negato il contrattacco.
Ancora un dramma, ancora un teatro. Al direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, questo assedio ucraino ha ricordato (lo ha detto ieri ad una conferenza) l'assedio di Parigi del 1870 ad opera delle truppe prussiane. Mentre, chi ha un'età avanzata, in questi giorni vede i telegiornali, i video, i commenti e ricorda l'incubo delle sirene, dei rifugi, del gelo umano della seconda guerra mondiale. Perché le guerre si somigliano tutte, hanno lo stesso orrore, lo stesso format (per usare un inglesismo in voga) che trascina vincitori e vinti in un dramma infinito.

Ora che nell'Ucraina delle fosse comuni, tutto crolla... la storia di un teatro e della sua resistenza umana può rappresentare il peso di una briciola. Anche l'annuncio dato dal ministro Dario Franceschini, con la notizia che la sua proposta di dare a Mariupol mezzi e risorse per ricostruire il suo teatro, può sembrare una goccia nell'oceano del disastro. Eppure, così non è: ogni segnale è vita. «I teatri di ogni Paese appartengono a tutta l’umanità #WorldHeritage», ha scritto il ministro su Twitter.
A noi, che a Bari abbiamo avuto un teatro incendiato e crollato probabilmente per ben altre guerre, questo teatro-rifugio di Mariupol commuove. Ci sarà anche laggiù, il fantasma dell'opera che al Petruzzelli fumante apparve nel foyer, quando in un panorama fuligginoso, si era salvato all'ingresso solo il candore di una maschera teatrale rimasta miracolosamente intonsa?
Emozioni, ricordi, che in questi tempi cupi trascinano dalla cronaca alla Storia. I teatri sono teatri, sempre rifugi dell'anima e per fortuna solo a volte rifugi antiaerei. La magnifica messa in scena a Bari dell'Aida firmata da Mariano Bauduin ci riportava all'esercito faraonico dell'opera verdiana; la Turandot che appena presentata all'Opera di Roma è ancora una storia di potere e di manipolazione. E guarda caso, la direttrice sul podio romano è l'ucraina Oksana Lyniv, mentre la regia sarà dell’artista dissidente cinese Ai Weiwei, per la prima volta prestato al teatro. Un uomo che è stato incarcerato nel suo Paese per le sue idee. Sì, l'arte è distante e allo stesso tempo vicina alle guerre, a quell'anelito di libertà che mai dovrebbe mancare.

Anche da Bari, il «Bif&st» (il festival del cinema che si terrà dal 25 marzo al 2 aprile) ha lanciato il suo messaggio di solidarietà: il Premio Federico Fellini – ha annunciato il direttore artistico Felice Laudadio – andrà ai cineasti dell’Ucraina. Il riconoscimento, concordato con Francesca Fabbri Fellini, erede del regista Federico, verrà consegnato il 28 marzo al Teatro Petruzzelli alla regista ucraina Daria Onyshchenko che – si legge nel comunicato - «se ne farà ambasciatrice presso i colleghi del suo Paese martoriato dalla guerra scatenata dalla Russia». La regista è autrice di un film che, anche questa è coincidenza, ma forse no!, s'intitola I dimenticati. E parla di Ucraina, nazione che purtroppo - come avviene in teatro – prima o poi uscirà di scena. E il sipario del silenzio calerà, inumano, incessante, spietato. Ma non in platea, nelle piazze in cui ci si sente sempre vivi.

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