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«Materie umanistiche in declino: così un Paese più barbaro»: il punto di Galli della Loggia

 
Gianluigi De Vito

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Gianluigi De Vito

«Materie umanistiche in declino: così un Paese più barbaro»: il punto di Galli della Loggia

Due giornate di studio e approfondimento all'Università di Bari: «La politica non pensa all'istruzione»

Lunedì 27 Novembre 2023, 11:04

Che il sapere umanistico fosse finito in «rianimazione» per il mutato rapporto cultura-politica, Ernesto Galli della Loggia lo ha scritto, con Asor Rosa e Roberto Esposito, anche in un mirabile saggio, Un appello per le scienze umane. L’atto di accusa più feroce è per il deficit di democrazia che la politica, piegata all’economia, crea quando non frena il ritiro del sapere umanistico. Era il 22 dicembre del 2013: «Non è cambiato nulla, come in genere succede in Italia. È peggiorato un po’ tutto», esordisce, nella chiacchierata con la «Gazzetta», lo storico e intellettuale romano, 81 anni, in cattedra da decenni e nelle più prestigiose università italiane (ora ha un insegnamento anche a Bari). Nessuna inversione di rotta, a quante pare, in dieci anni, ma Galli della Loggia non toglie l’elmetto. Ed è per questo che presiede i lavori della due giorni di convegno su «La crisi del sapere umanistico nell’Università italiana» in programma oggi, lunedì 27 novembre e domani, martedì 28 novembre, a Bari nell’aula Don Tonino Bello del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione. Un evento che la direzione scientifica del convegno, affidata alla direttrice del Dipartimento, Loredana Perla, ha strutturato chiamando a confronto professori universitari di più atenei italiani oltre al presidente dell’Agenzia nazionale di valutazione universitaria, Antonio Felice Uricchio.

Professor Galli della Loggia, che cosa la tormenta di più di questi dieci anni in cui la politica ha derubricato dalle emergenze il declino della formazione?

«Negli studi universitari le materie umanistiche hanno avuto sempre meno cattedre, hanno meno rilievo nei corsi di studio. Latino e greco sono in condizioni ancora peggiori. La storia non gode di ottima salute, ma va un po' meglio; la filosofia va male. Tutto il complesso delle materie umanistiche segna un arretramento».

A chi imputare questa deriva?

«Questa è una domanda da centomila dollari. All’andamento storico delle nostre società. Che pensano che queste cose siano poco importanti. In genere, l’imputerei al fatto che sempre meno c’è l’idea che l’istruzione debba servire a formare l’identità delle persone, il carattere, la personalità. Opinione perversa, comincia nell’istruzione secondaria e poi nell’Università ha la sua conclusione. C’è invece l’idea che l’istruzione debba essere una cosa collegata direttamente al mondo del lavoro che, ovviamente, non necessita nulla del greco, della filosofia. Un’idea del tutto utilitaristica dell’istruzione».

Quanto pesa la perdita d’identità?

«Non avere identità significa alla fine non sapere chi si è, che cosa si sta a fare al mondo. Tanti aspetti della società italiana soffrono di questo. Non sappiamo a che cosa serve l’Italia e se possa servire, problema essenziale per decidere che cosa fare nella vita. Questo Paese dove deve andare? Che cosa deve fare? Che interessi ha?».

Il paradigma della «competenza» che prevale sulla «conoscenza» non è facile da ribaltare. Che cosa ci sta costando?

«L’imbarbarimento. Le materie classiche sono le uniche che assicurano il nostro rapporto con il passato che invece stiamo sempre più abbandonando ed è per questo che ci stiamo imbarbarendo. Studiare chimica, ingegneria, fisica, non stabilisce nessun rapporto tra le nostre società e il loro passato e neanche tra la nostra società e la sua individualità storica. La chimica, la fisica, l’astronomia, sono uguali dappertutto. A Shangai si studia la stessa fisica, la stessa chimica che si studia a Roma. Soltanto le materie umanistiche servono a congiungere una società con il suo passato».

Entriamo nel cuore del convegno di Bari. Al centro della discussione ci sono, tra altri temi, la radiografia della laurea «tre più due» - triennale e specialistica - definita «catastrofe»; la qualità «perduta» della formazione dello studente; i sistemi dei criteri aritmetici di abilitazione universitaria; i condizionamenti delle politiche Ue. Per arrivare dove?

«Tutta l’organizzazione degli studi universitari che corrisponde a input dettati dall’Europa sta sempre più abbandonando criteri di valutazione del merito e perdendo la capacità di selezionare il corpo insegnanti. Sono elementi importanti di questa crisi generale che inizia dal declino del comparto umanistico per riguardare poi molte altre cose. Tutto il sistema di accertamento dei titoli universitari corrisponde sempre più a criteri che sono dettati dalle discipline scientifiche ma che per quelle umanistiche non hanno senso. Nelle discipline umanistiche si scrivono libri, nelle materie scientifiche i docenti scrivono solo articoli».

Di che cosa indignarsi di più, allora?

«Del disinteresse della politica per l’istruzione, in genere; quindi, anche per l’istruzione universitaria. Le scelte vengono fatte da persone incompetenti che non curano in nessun modo il “cercare di capire qualcosa”»

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