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Bari, San Nicola patrono senza confini: dall’Islanda gli antichi pellegrini

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Bari, San Nicola patrono senza confini: dall’Islanda gli antichi pellegrini

Un manoscritto del ‘400 racconta i viaggi a Bari e in PugliaChiese tra i ghiacci e un detto «barese»

Domenica 04 Dicembre 2022, 13:03

04 Novembre 2024, 16:05

BARI - Il volto scuro di certe iconografie, il collegamento con l'Oriente, il mare come simbolo di unità senza confini: non esiste un Santo universale come San Nicola. Lo si scopre ogni giorno, ogni anno di più. E, sorpresa, ora emerge come tra i popoli lontani, lontanissimi, che venerano da secoli il nostro Nicola ci sia persino l'Islanda!

Un antico manoscritto e vari studi, anche pugliesi, ribaltano – nel nome di San Nicola - il presunto paganesimo di alcune terre del mondo, ma anche quel mito dell'isolamento di questo Paese, distante dalla nostra Puglia, ma evidentemente vicino nel culto nicolaiano, tanto che, pensate, nella notte dei tempi ci furono pellegrini che da quelle terre giungevano a Bari per conoscere le strade e i luoghi di Nicola.

Viaggiatori che si mossero da laggiù, da questa Islanda di ghiacci e di natura incontaminata, un Paese più  vicino alla Groenlandia che all'Europa, pieno di contrasti e di bellezza, come lo stesso Santo patrono di Bari e il Mediterraneo.  A raccontare questa storia è il manoscritto pergamenaceo che si trova nella Biblioteca di Stoccolma. Ha un nome per noi complicato, Helgastaðabók, ovvero «Libro di Helgastaðir» (una località nel nord-est dell’Islanda). Risale al 1400, ed è una versione in antico islandese della vita di San Nicola, proprio il Nicola di Bari, che loro chiamano Nikulásar. Gli studi portati avanti nel tempo da Roberto Luigi Pagani, ricercatore all’Università d’Islanda, già docente di manoscritti medievali islandesi (raccontati su https://unitalianoinislanda.com) aprono a diverse suggestioni e sottolineano questi "ponti culturali" tra la Puglia e l'Islanda.  

Di agiografie di santi è pieno il mondo, ma colpisce questo manoscritto raffinatissimo dell'Islanda medievale, di cui ha parlato anche il massimo studioso nicolaiano, Padre Gerardo Cioffari, che dalla Basilica di San Nicola dirama al mondo ogni notizia e ogni ricerca sul Santo. Attraverso le sue Lettere «Saint Nick», complice una mailing list praticamente planetaria, diffonde i suoi studi e «appunti», una miniera di fatti e storie che ogni mese arricchisce la sua poderosa cultura nicolaiana. In questa sorta di newsletter culturale, di recente, ad esempio, ha scritto che nel mondo ci sono circa 7mila chiese intitolate a San Nicola, da Tokyo a New York, da Ankara a Teheran e via dicendo. In Europa, sono ancora di più, tanto che – sottolinea Cioffari - oggi è difficile trovare una grande città europea senza una chiesa nicolaiana. Anche le città protestanti ne hanno almeno una, cara agli abitanti, perché legata alle proprie origini storiche (oltre che all’amore dei bambini). Addirittura a Mosca ve ne sono 31, a Kiev 15 così come 15 a Bucarest, a Londra se ne contano 10, ad Amsterdam e Bruxelles cinque ciascuna, a Parigi 2 e l'elenco continua per ogni luogo d'Europa. Ed esistono in ciascuna di queste città strade, quartieri, affreschi, tracce nicolaiane.

Ebbene, ben 41 chiese dedicate a San Nicola sono pure in Islanda. Tra l'anno Mille e il Cinquecento, laggiù, tra i ghiacci, il San Nicola mediterraneo era molto popolare e probabilmente lo era anche per la sua vicinanza al mondo dei pescatori e dei naviganti.

Mette emozione l'idea che il santo d'Oriente accompagnasse le navigazioni di un marinaio abituato a ben altre latitudini... potere e magia della fede, che notoriamente non ha nazionalismi, come invece gli uomini li hanno.

Quali prove dei pellegrinaggi in Italia? Gli studi pubblicati in Islanda e in parte resi noti anche in Europa parlano di un testo antichissimo, guarda caso composto da un abate che si chiamava Nikùlas, dove vengono citate località in cui i pellegrini islandesi sarebbero passati. Tra queste, si citano nomi di città italiane e, oltre a Venezia, da loro chiamata Feneyjar e cioè «Isola della Palude», sono presenti diversi toponimi pugliesi, tra i quali Bàr e cioè Bari, Sepont (Siponto, sede di una notissima basilica paleocristiana), Michiálsfjall (Monte San Michele, già meta dei pellegrinaggi micaelitici), Barl (Barletta), Trán (Trani), Bissenuborg (Bisceglie), Málfetaborg (Molfetta) e Júvent (Giovinazzo). Ne fa cenno lo studioso Fabrizio Raschellà nel suo saggio Itinerari italiani in una miscellanea geografica islandese del XII secolo e l'idea suggestiva di questi viaggiatori di fede giunti in Italia dai ghiacci è un salto nel passato che ci riempie di emozioni.

Ovviamente, tutto è ancora da analizzare e da studiare, ma le prove del fatto che questi pellegrini arrivassero proprio a Bari già esistono. Ne viene citato uno, di nome Gizur Hallsson, che pare avesse un ruolo istituzionale e che arrivò a Bari e nel Sud d'Italia tra il 1144 e il 1152 insieme a un vescovo.

Per chi vada a fare un viaggio in Islanda, che ora è meta capace di attirare tanto turismo anche dall’Italia, può essere molto interessante andare alla ricerca di queste tracce baresi e pugliesi, con le chiese intitolate a Nicola e con i simboli di un culto antico nordico e mediterraneo allo stesso tempo, prova infinita che... mentre noi ci dividiamo, il mare non ha muri, i Paesi e le tradizioni si toccano, ad ogni latitudine.

E chi poteva mai immaginare che uno dei detti islandesi comprendesse il nome della città di Bari? Sì è una lingua difficilissima, ma quando gli islandesi parlano di qualcosa che è lontana, dicono «Það er úti í Bár»   che - udite, udite - significa «É giù  a  Bari». Beh, lassù, vicino al Polo Nord, qualcuno ci ama.

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