A settant’anni non ha smesso di farsi vincere dalla voglia di nuove sfide. A Frosinone era molto di più di un dirigente con pieni poteri. Fedelissimo del patron Stirpe, per lui carta bianca e fiducia illimitata oltre a un contratto blindatissimo. La scelta di Cagliari non è così banale come potrebbe sembrare. Certo, parliamo di serie A. Ma chi lo conosce bene sa che la categoria non è mai stata il primo motivo di valutazione. Più di tutto contava il progetto. E l’«indipendenza» tecnica e gestionale. E in Sardegna raccontano che con Giulini non sia facilissimo andar d’accordo. Tutto tranne che un presidente a cui piace restare in disparte, a «guardare». Però Guido Angelozzi non ci ha messo moltissimo a preparare la valigia e imbarcarsi sul primo aereo per la Sardegna. Deve aver colto un segnale particolare. La classica occasione da non perdere. Provando a scrivere altre pagine di storia personale in una piazza prestigiosa. La «casa» di Gigi Riva, lo scudetto del 1970 e tant’altro.
Forse ha influito abbastanza anche la sensazione che il ciclo in Ciociaria fosse agli sgoccioli. All’orizzonte un piccolo ridimensionamento tecnico. Stirpe non ha più voglia di mettere a rischio le aziende di famiglia per il calcio dopo aver regalato tantissimo a una terra che, prima di lui, non è che avesse costruito granché. Immaginiamo l’imbarazzo di Angelozzi. Comunicare al presidente la volontà di cambiare aria sarà stato un terremoto emotivo. Troppo profondo il rapporto personale, troppo forte l’affetto per un uomo speciale. È la vita, però. E ci sono cose che non puoi evitare. Nemmeno quando gli occhi diventano umidi e senti un nodo in gola.
Sabato, qui a Bari, si gioca una partita molto speciale. Per Guido Angelozzi, un tuffo al cuore. O giù di lì. Quattro anni a Bari, compresa quella favola dal titolo «Una meravigliosa stagione fallimentare». Un rapporto morboso con la città che non s’è spezzato nemmeno nel giorno del suo addio alla maglia biancorossa. Addirittura cinque a Frosinone, con la chicca di un campionato preso a pallonate nonostante una rosa che non assomigliava nemmeno lontanamente alle classiche corazzate. Nove anni in cui ha dato grande dimostrazione di coraggio e intuito. Ve la ricordare la scelta per la panchina barese? Alberti e Zavettieri, due signor nessuno nelle vetrine del calcio che conta. E in Ciociaria la fiducia in Fabio Grosso, uno che ha rivinto la B e che oggi sta facendo grandi cose a Sassuolo. A proposito di allenatori... Angelozzi, sempre lui, è quello che ha scelto Italiano a La Spezia, all’alba di un’altra cavalcata vincente verso il «paradiso» del pallone. Giulini, insomma, non ha certo fatto un salto nel buio. Anzi.
Angelozzi, sa che partita si gioca sabato al «San Nicola»?
«Il mio Cagliari è atteso da una delicatissima sfida contro il Genoa. Però c’è dell’altro, lo so...».
Bari-Frosinone, mica uno scherzo per chi come lei ha trascorso in Puglia e in Ciociaria ben nove stagioni.
«Non mi posso nascondere. Sono piazze a cui sono legatissimo, per motivi diversi. Bari, una grande città. Lì da voi ho tanti amici e quando il lavoro mi dà tregua mi piace fare qualche bella rimpatriata. Frosinone è una città di 50 mila abitanti, una grande famiglia. E una società di livello».
A Bari le è toccato gestire un’emergenza continua.
«Bè sì, erano anni complicati. Club in difficoltà, un periodo molto intenso. Però conservo ricordi bellissimi. Quella serie A sfiorata senza che ci fosse un solo opinionista che ci dava credito... resterà per sempre nel mio cuore».
A Frosinone avete fatto la storia. Chapeau, direttore!
«Vincere un campionato non è mai una cosa banale. Noi l’abbiamo fatto e anche alla grande. Riuscimmo a costruire una rosa competitiva ma nessuno pensava potesse finire così. Squadra dominante. Un’emozione enorme».
Non le è mai mancato il coraggio. A Bari puntò sul duo Alberti-Zavettieri, a La Spezia su un certo Italiano che aveva allenato il Trapani e a Frosinone su Grosso, non certo una certezza per un torneo ambizioso.
«Questo è vero, il coraggio non mi manca mai. Ma non sono scommesse vere e proprie. Tutto nasce dalla conoscenza delle persone. Italiano e Grosso alleneranno grandi club, vedrete. Anche se, forse, il Bologna lo è già. Parliamo di allenatori con idee e personalità. Certo, mi fa felice pensare che allora non mi ero sbagliato».
Quanto è stata dura, sul piano emotivo, separarsi dal patron Stirpe.
«Terribile. Un momento molto complicato per me. Un’amicizia nata 25 anni fa, grazie all’allora presidente dell’Andria, Fuzio. Non ci siamo più lasciati da allora. E ancora oggi siamo in continuo contatto. Un grande uomo, una persona per bene, un galantuomo».
Ci sono punti in comune con un altro grande presidente, Vincenzo Matarrese. Gente d’altri tempi, verrebbve quasi da dire. Uomini con cui bastava una stretta di mano.
«Sono assolutamente d’accordo. Anche lui un galantuomo. Don Vincenzo era un buono, un genuino. Dell’esperienza barese ricordo anche il cognato, Tony Sgobba. Mi è stato sempre vicino, un prezioso riferimento».
Sì, ma Bari-Frosinone?
«Non so se riuscirò a vederla. Forse mi toccherà partire per il nord Italia dopo Cagliari-Genoa, ho alcune partite da vedere dal vivo. Al “San Nicola” potrebbe scapparci una gara interessante».
Il Frosinone pare stia facendo sul serio. Strano il calcio. L’anno scorso sembrava andare tutto storto...
«Il dopo retrocessione è difficilissimo da gestire e chi fa calcio lo sa bene. Però era stato fatto un grande lavoro sul mercato insieme al mio staff. Otto undicesimi della squadra titolare faceva parte della rosa già un anno fa. E i risultati si vedono. Sono felice che stiano andando bene. Il Frosinone ha calciatori bravi e una bella mentalità».
E il suo vecchio Bari. Qui c’è un’aria abbastanza pesante.
«Quando si cambia tanto bisogna avere pazienza. Ero convinto che il Bari sarebbe stato tra le protagoniste. Guardo la rosa e non mi capacito di certe difficoltà. Però, ripeto, assemblare tanti calciatori nuovi non è mai facile».
Qualcuno parla di un gruppo mal assortito.
«Giudicare dall’esterno è sempre molto complicato. E non è nemmeno bello. Una cosa posso dirla, nel Bari ci sono tanti calciatori validi. E non è un pensiero soltanto mio».
In estate Magalini e Di Cesare hanno optato per una rivoluzione totale. A lei è mai capitato?
«Quando si capisce che c’è bisogno di resettare tutto lo si fa, punto e basta. Sapendo che non saranno solo rose e fiori. E che nei primi mesi serva lavorare tantissimo, più del solito. La parola chiave è pazienza anche se nel calcio ce n’è sempre meno».
Gaetano Castrovilli, un nome che le dice qualcosa?
«Caspita. AI miei tempi era un ragazzino di talento, sì. Ma con un fisico improponibile. Gli abbiamo fatto fare di tutto per fargli mettere massa. Dall’alimentazione alla piscina, l’abbiamo anche fatto allungare... Ricordo un ragazzo umile che si è fatto aiutare e guidare».
Finora non gli è andata benissimo.
«Mi è piaciuta la scelta di ripartire dal Bari, la sua squadra del cuore. Però non è facile. La B è durissima, a maggior ragione per chi come lui viene da stagioni complicate. Gaetano ha avuto tanta sfortuna anche se prima dell’infortunio era riuscito a mostrare il suo talento nella Fiorentina, fino a meritare la convocazione azzurra e il trionfo agli Europei con la nazionale guidata da Roberto Mancini. Anche per lui vale la questione del tempo e dalla pazienza. Il suo talento è pazzesco. E il talento non muore mai».
A Cagliari come va?
«Benissimo. Avevo bisogno di nuovi stimoli e un club così prestigioso me ne dà tantissimi. Salvarsi non sarà facile ma abbiamo costruito una squadra che ha i mezzi per farcela».
Mentre la Nazionale italiana sprofonda. Il tennis prepara il sorpasso...
«Nei giorni scorsi ho conosciuto il presidente federale Binaghi, un tipo tosto e capace. Il tennis vola, in effetti. E me lo ripete spesso il mio amico Dodo Alvisi, vice presidente federale. Ci conosciamo dai tempi del Barletta, quando giocavo a calcio. E siamo sempre in contatto. Che dire del calcio? Non ci voglio nemmeno pensare al terzo Mondiale senza l’Italia. Fa malissimo vivere una situazione così complicata. Incrociamo le dita per i playoff».
















