BARI - Aria pesantuccia. E non sembri un paradosso per il sol fatto di aver messo alle spalle appena cinque giornate di campionato. I due punti messi insieme dal Bari, una miseria, non raccontano nemmeno tutto. Siamo ben oltre la legge del risultato. Perdere ci sta. Dipende da episodi e contingenze. Ma non è successo solo questo. Le cronache parlano di una squadra che non cresce e che, addirittura, sembra aver imboccato la via dell’involuzione. Tecnica, tattica, finanche atletica. Il Bari non è nè carne nè pesce. Attacca in modo poco concreto e la fase di non possesso fa acqua da tutti i pori, anche nel giorno, tanto atteso, del cambio del sistema di gioco (via libera alla difesa a 3, nel tentativo di liberare gli slanci offensivi di Dickmann e Dorval). Manca anche la parte caratteriale, rendendo così il quadro abbastanza preoccupante. I biancorossi fanno fatica a salire sul ponte di comando dentro la partita. Al netto dell’insopportabile «abitudine» di regalare un gol di vantaggio agli avversari (è successo in tutte e cinque le partite, se non è record... poco ci manca).
Manca aggressività, forse anche un pizzico di coraggio. Impossibile, in queste condizioni, pensare di poter essere dominanti. E infatti, contro la tremebonda Sampdoria, non è successo nemmeno sullo slancio del bellissimo gol segnato dal sempre più brillante Moncini. Per non parlare di una ripresa in cui è mancato praticamente tutto. Magari fosse solo una questione legata al gioco. In serie B, guai a dimenticarlo, la cosa più importante è correre e «menare». Serve essere «squadra», «mordere» gli avversari in tutte le zone del campo, capire che l’occupazione degli spazi viene prima di uno stop morbido e di un dribbling a effetto. Difendere male non può che essere una jattura. Chi lo fa bene può attaccare con maggiore efficacia. Questo... è l’abc.
Ci sono, poi, alcune scelte dell’allenatore che si fa fatica a comprendere. Dalla fiducia a Maggiore nell’undici titolare (condizione ancora approssimativa) al varo di un centrocampo con poca sostanza e scarsa fisicità (Castrovilli e Verreth gli altri due interpreti). Il calcio resta un gioco di equilibri tattici. L’assortimento degli interpreti, un dettaglio di limpidissima importanza. Per coniugare il verbo dell’ambizione non serve solo gente che dà del «tu» al pallone. Motivo per cui vien da sorridere quando qualcuno racconta che il «Bari di quest’anno è nettamente più forte di quello dell’anno scorso». Chi stabilisce il valore se non il campo, giudice supremo? Essere più forti vuol dire avere più qualità tecniche? No. Devi essere prima di tutto squadra. E se non sei squadra sei scarso. Non solo nel campionato dell’alta classifica.
A Chiavari, stasera, c’è il profumo dello «spareggio». Non ci si gioca la vita, certo. A settembre, sarebbe folle pensarlo. Però è indubbio come un risultato negativo, l’ennesimo, potrebbe avere conseguenze devastanti. Anche e soprattutto sul piano ambientale, oltre evidentemente che su quello dell’aria che si respira nello spogliatoio. A proposito, il gruppo è completamente dalla parte dell’allenatore. Non ci sono «distanze» e nemmeno contrapposizioni. Certo, ragazzi. Ne prendiamo atto. Ma ai tifosi cosa raccontiamo? Quelle prestazioni, inquietanti, come le spieghiamo alla gente del Bari? Giocare qui, si sa, non è per tutti. È arrivato il momento di contarsi. Chi c’è, batta un colpo. Un pugno sul tavolo.