BARI - È sempre difficile trovare le parole giuste quando di mezzo c’è Giovanni Loseto. Complicato riassumerne l’essenza. E darne il giusto peso nella lunghissima storia dei Galletti. Vien facile definirlo un gigante del calcio biancorosso. O un’istituzione. Il capitano per antonomasia, l’uomo che incarnava alla perfezione quella baresità che tanto sta a cuore ai tifosi. Non solo un difensore fortissimo e affidabile, marcatore implacabile e guerriero mai domo. Il calciatore è solo l’ultima parte di un racconto capace di emozionare alla sola idea. Loseto era e resta Giuàn. Un mito, inarrivabile. Punto.
L’avvento della famiglia De Laurentiis lo ha visto uscire dal radar della prima squadra. Per tanti anni era stato un uomo spogliatoio, un prezioso riferimento per allenatori e dirigenti. E anche alla gente del Bari piaceva che ci fosse un Loseto a «vigilare», una sorta di garante degli interessi della città. Storia vecchia, ormai. Giovanni ne ha sofferto tantissimo, per lui il Bari è molto più della squadra per cui tifa da quando è nato. Ma oggi è un altro giorno. La vita va avanti e il capitano dei capitani soffrte a distanza.
Loseto, siamo allo sprint di un campionato mai così incerto ed equilibrato.
«Può accadere ancora di tutto. Con quindici punti in palio nessuno può permettersi il lusso di abbassare la guardia. Nemmeno Pisa e Cosenza, che sembrano avere il destino ormai scritto».
E il suo Bari?
«In linea con i programmi. Ho sempre pensato che quella biancorossa fosse una rosa in grado di puntare ai playoff».
Secondo lei è giusto nutrire anche sentimenti di rammarico? O crede che la classifica non menta mai.
«Sono convinto che, soprattutto nella prima parte di stagione, il Bari avrebbe potuto portare a casa qualche punticino in più. Il difficile, nel calcio, è sbloccare le partite. E la squadra di Longo l’ha fatto spesso. Però poi sono mancati i dettagli. E allora...».
Non ci lasci in sospeso. Cosa aggiunge a quella riflessione sulle occasioni mancate?
«Guardo l’altro lato della medaglia. Se sprechi tante occasioni vuol dire che qualche problema c’è. E allora continuo a credere che ad aprile non possa esistere una classifica bugiarda. I valori sono conclamati, i numeri non mentono dopo più di trenta partite giocate».
Spesso, però, i finali di stagione sanno cambiare il corso delle cose. C’è chi arriva di slancio allo sprint e chi, invece, lo affronta con le gomme sgonfie.
«Tutto vero. E con una classifica mai come quest’anno compressa è giusto pensare che i giochi siano apertissimi».
A cominciare dal Bari, rilanciato dai quattro punti conquistati a Catanzaro e contro il Palermo.
«Due belle risposte, in effetti. In Calabria soprattutto sul piano caratteriale dopo la pessima prestazione a Carrara. Contro il Palermo, invece, c’è stata anche una prestazione qualitativa. Pur al netto di un avversario forte sul piano dei singoli ma con scarsissimo equilibrio tattico. Avete visto di quanto spazio hanno potuto godere Maiello e compagni?».
Quale può essere la partita della svolta?
«Tutte, nessuna esclusa. Il Bari è ottavo e non può permettersi frenate».
Lunedì l’esame Sudtirol, avversario scomodo.
«All’andata mi fece una bellissima impressione e vinse con merito. Castori è bravissimo, le sue squadre fastidiose. Però i numeri dicono che il Sudtirol ha l’ultina difesa del campionato. Lì dietro sono lenti. E il Bari ha gli uomini per esaltarsi contro avversari con certe caratteristiche».
Una punta o due punte?
«Il campionato sta finendo, ora è inutile perdersi in certi discorsi. Giusto che ci pensi Longo, non proprio l’ultimo arrivato. Nessuno come lui conosce i calciatori e, soprattutto, le dinamiche tattiche. Ai tifosi deve interessare il risultato finale e noncome ci si è arrivati».
Loseto, ultima domanda. Cosa pensa del calcio moderno?
«Che io ne ho giocato un altro. Il resto sono chiacchiere».
Il calcio delle bandiere e delle strette di mano.
«Già. Io avrei potuto lasciare Bari e guadagnare molto di più oltre che misurarmi in grandi squadre. Ma ho messo davanti il cuore. E non me ne sono mai pentito».
La gente ripete «c’è solo un capitano».
«E io mi emoziono ogni volta. Grazie ai baresi. Ai baresi come me».