BARI - Nel mondo del calcio vive una fastidiosa abitudine. Attribuire etichette, ovvero l’anticamera del pregiudizio. Fabrizio Castori, per la gente del pallone, è un allenatore difensivista, uno di quelli che una volta si chiamava catenacciaro. La semplicità scambiata per improvvisazione, la praticità una strada per ottenere il risultato con metodi superati. E poi l’uomo nato nelle Marche, a San Severino (classe 1954), senza il phisique du role. Un eloquio genuino, al bando paroloni e proclami. Un uomo serio che tiene, da sempre, un profilo basso. Gli altri chiacchierano, talvolta sparlano... lui pensa solo a lavorare.
Castori portò una piccola realtà come il Carpi in serie A, protagonista di partite memorabili come quella pareggiata per 3-3 in casa del Brescia, rimontato e fermato sul pari nonostante gli emiliani fossero in inferiorità numerica di 2 uomini, con tre rigori a sfavore. Questa gara valse alla squadra l’appellativo di «ImmortAli». Però quasi tutti lo ricordano per la bassissima percentuale del possesso palla, sotto il 40%. Un modo per delegittimare la sua idea di calcio. «Ma chissenefrega di tenere il possesso con il tiki-taka, per me conta la velocità con cui si arriva al tiro», il cuore del suo pensiero.
Castori si è diplomato a Coverciano, nel 2001, con una tesi dal titolo «L’allenatore dalla seconda categoria alla C1: aspetti esperenziali e problematiche didattiche». Castori definisce questa tipologia di allenatore quella che «ha definito la storia della mia generazione con Sacchi e Zeman». La sua esperienza personale ha fortemente influenzato il suo modo di vedere il calcio: «La mia generazione ammirava Sacchi e Zeman, ma nei dilettanti c’era un solo concetto da trasmettere: correre, correre, correre. Organizzazione di gioco e ritmi elevatissimi: su questo punto ancora. Il ritmo è l’arma vincente di una squadra di calcio. Il mio calcio è ritmo e intensità».
A Bari ne sanno qualcosa. Qui nessuno può permettersi di ignorare un allenatore capace di vincere al «San Nicola» per ben sei volte. Le ultime in modo autoritario, dominando la scena. Era successo alla guida del Perugia, il bis è arrivato col Sudtirol. Ma quale difensivista. Castori ha proposto un calcio aggressivo e, soprattutto, la capacità di partorire strategie illuminate. Un uomo che meriterebbe applausi e basta. E invece a volte gli è toccato schivare insopportabili e indecenti schizzi di fango. A Bolzano è arrivato al culmine di una crisi violentissima. Sette sconfitte nelle ultime otto gare. S’è rimboccato le maniche spiegando che sarebbe riuscito almeno a dare alla squadra una precisa identità, la sua. Una vittoria sfumata contro il Mantova al 90’, su rigore. E poi il capolavoro qui, a Bari. Giocando a calcio, sia chiaro. E con il coraggio di chi non si vergogna a «sporcarsi» le mani. Un artigiano della panchina, sì. Ma nel senso buono. Lui sempre in tuta, senza pantaloni e camicie slim. Non traghetta concetti ingarbugliati, non ha la pretesa di aver inventato il calcio. Ma nessuno si permetta di dire che Castori è l’anti calcio. No, è proprio il contrario. Lui è un grande uomo di calcio.
«A Castori devo tantissimo - racconta Michele Anaclerio, ex difensore di Bari e Piacenza e attualmente sulla panchina della Polimnia seconda in classifica nel campionato di Eccellenza pugliese - ero reduce da annate importanti con il Bari Primavera e lui mi volle a Lanciano, in serie C. Il mister mi raccontò, con orgoglio, di essere venuto a vedermi giocare nel giorno della finale scudetto contro il Milan. In Abruzzo ho vissuto due stagioni molto positive, le prime nel calcio professionistico. Cinquantatrè presenze e due gol, nel primo anno sfiorammo addirittura la promozione in B. Poi, quando a Bari c’era Tardelli e io faticavo a trovare spazio, il mister mi voleva a Cesena. Sembrava tutto fatto, c’era l’accordo per il prestito. Ma una telefonata di Regalia bloccò tutto. “Mi servi in campo”, le sue parole. Ci fu l’arrivo di Pillon che mi dette subito fiducia e il 6 gennaio 2004 ho esordito in serie B contro il Napoli».
«Castori è un allenatore molto sottovalutato - continua Anaclerio, il terzino sinistro che Antonio Conte provò a riportare nel Bari - ha vinto campionati in C e in B, le sue squadre hanno sempre una precisa identità. È un uomo concreto, non bada a fronzoli ma passa sempre per quello superato. Il mister sa di calcio, tatticamente sempre molto attento, cerca di impostare la squadra in base alle caratteristiche della rosa a disposizione. Non è un talebano della panchina, insomma. Ma per me questo è un merito. Sinomimo di intelligenza».
«Avete visto cosa è stato capace di dare al Sudtirol dopo pochissimi giorni? Si è già vista una squadra più logica - continua l’ex difensore biancorosso - ma non avevo dubbi in merito. Mi spiace, ovviamente, che il Bari abbia perso, resto tifosissimo. Però va detto che Castori ha impostato la partita benissimo centrando una vittoria meritatissima e non solo per le clamorose occasioni costruite lansciando ai Galletti le briciole. Il Sudtirol è stato superiore in tutto, mostrando aggressività e personalità. Complimenti a Castori, vedrete che lotterà fino all’ultimo per la salvezza nonostante abbia ereditato una situazione pesantissima. La peggior difesa del campionato? A Bari non s’è visto, anzi».
















