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Bari, diciott'anni fa moriva Enrico Catuzzi: la sua rivoluzione nella magia nel calcio

 
antonello raimondo

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Bari, diciott'anni fa moriva Enrico Catuzzi: la sua rivoluzione nella magia nel calcio

La morte dell'ex difensore lasciò tutti senza fiato. Nel pieno della vita, a 60 anni e per moltissimi un maestro di calcio, moderno più di quarant’anni fa

Giovedì 28 Novembre 2024, 12:36

BARI - Oggi, diciotto anni fa. La morte di Enrico Catuzzi lasciò tutti senza fiato. E non solo perché se ne andava un uomo ancora nel pieno della vita (60 anni). Per moltissimi lui era un maestro di calcio. Uno capace di essere avanti vent’anni ai suoi colleghi, anche a quelli con un pedigree ricco di vittorie. Moderno più di quarant’anni fa. Un visionario con la faccia buona e i modi di galantuomo. Che a Bari ha lasciato un vero e proprio solco. Un pezzo di storia che nemmeno il tempo riesce a scolorire. Eppure, qui, Catuzzi non ha vinto campionati. Nemmeno uno. Però ha insegnato, creando un giocattolo unico che ha strappato applausi in ogni angolo d’Italia.

Stagione 1981-1982, alla guida del Bari c’era Antonio Matarrese, che da lì a poco avrebbe cominciato una folgorante carriera che l’ha portato ai vertici mondiali con la vice presidenza di Fifa e Uefa. Dopo annate affannose e abbastanza dispendiose il club biancorosso decise di puntare sull’allenatore della Primavera. «Lo prendemmo dal Palermo per essere un punto di riferimento del settore giovanile, su segnalazione di Mario Santececca - raccontò alla Gazzetta Carlo Regalia, uomo di fiducia della famiglia Matarrese - Eravamo in crisi profonda e decidemmo di sostituire il tecnico Giulio Corsini. Non avevo dubbi sul fatto che Enrico si sarebbe fatto trovare pronto: è stato un vero innovatore, senza dubbio il primo a praticare il gioco a zona. Per certi versi, davvero la favola del Bari dei baresi nacque quel sei maggio di 41 anni fa».

«Stava svolgendo un lavoro straordinario. Arrigo Sacchi è stato considerato il pioniere di un calcio che Enrico attuava già: basti pensare che Sacchi veniva da Rimini a seguire il lavoro di Catuzzi - continua il racconto del manager di Gallarate, una vita in biancorosso anche da calciatore - Nel 1981 lo richiamammo al posto di Renna e centrò un’altra permanenza in B in un frangente complicato. Poi decidemmo di puntare tutto sui giovani, dando vita a quella squadra ancora oggi così amata dai baresi».

«È stato il primo ad applicare l’organizzazione al calcio. Aveva un’idea di gioco basata sul movimento senza palla, sulla corsa, sull’intensità: parole puntualmente abusate nel calcio di oggi. Si parla molto di allenatori in grado di conferire un’identità: lui ci riusciva 40 anni fa», la chiosa finale di Regalia.

A Maurizio Iorio trema quasi la voce quando sente parlare di Catuzzi. Attaccante di grande livello, uno che in bacheca ha anche qualcosa dal nome scudetto. Era la «ciliegina» di quel Bari dei baresi che, nella stagione 1981-1982, sfiorò la serie A giocando un calcio eccezionale e lanciò in orbita un gruppetto di ragazzi terribili. «Con Enrico fu subito feeling - racconta Iorio, visibilmente commosso - una persona eccezionale sul piano umano e un tecnico di alto livello. Ricordo il primo impatto, lui era giovanissimo e ci chiese di dargli del tu. Però era complicato e allora ci scappava il “mister”. Catuzzi creò una macchina perfetta. Ognuno di noi sapeva cosa fare in tutte le situazioni di gioco. L’obiettivo era creare quelli che lui chiamava “imbuti”. Se gli avversari ci finivano dentro, e accadeva quasi sempre, per noi era facile pressare. E diventava molto meno dispendioso».

«Con lui si creò un rapporto di amicizia anche dopo l’esperienza di Bari - continua il racconto di Iorio - tanto che mi trovai a essere coinvolto anche nel suo ingaggia da parte del Mantova. Io allora ero a Verona. Per me Catuzzi è stato davvero un grande allenatore. Sul piano della capacità di dare un’impronta di gioco lo metto sullo stesso piano di Eriksson e Liedholm».

«Quando arrivò a Bari aveva appena 33 anni ma era già dotato di una buona personalità - il ricordo targato Giorgio De Trizio, uno dei “ministri della difesa” di quella fantastica squadra - e parliamo di una persona intelligente e colta. Tutti ne parlano come un innovatore ma per noi ragazzi che arrivavano dal Bari Primavera non era così. Sapevamo già tutto delle sue idee e la zona non era materia sconosciuta. Catuzzi puntava molto sulla tattica, ricordo le partitine a tema durante la settimana. Voleva un calcio organizzato e anche ragionato. Puntava a costruire calciatori intelligenti e non è un caso che molti dei suoi allievi siano rimasti in attività anche oltre i 35 anni sfruttando proprio l’intelligenza calcistica. Aveva un difetto, Enrico. Non voleva mai perdere. Che spettacolo le sfide ai rigori, quando sbagliava cercava di rientrare giocando al raddoppio. Tutti insieme dicevamo “no” e lui restava con il broncio per un paio di giorni. Voleva sempre arrivare in finale e se non ci riusciva... la prendeva malissimo. Una perdita dolorosissima, da ogni punto di vista. Catuzzi ha fatto la storia qui a Bari».

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